Un progetto di promozione alla lettura e scrittura dedicato alle classi seconde delle scuole secondarie di primo grado di Milano.
Il progetto, che si avvale del partner filantropico Zàini Cioccolato, coinvolgerà ogni anno le diverse municipalità della città. Abbiamo iniziato questo bellissimo percorso che prevede lettura, incontri con l’autore e laboratori di scrittura con le scuole della municipalità 9. Al termine delle varie fasi i ragazzi ci hanno mandato il loro breve racconto giallo che è stato letto ed editato in redazione prima della giornata di premiazione presso lo Spazio Young della Biblioteca Sormani.
Questi sono i cinque racconti finalisti.
Classe 2A: Carlotta Angeloni, Giacomo Cosentino,
Zara Orellana, Kirill Taraskin
Scuola Secondaria di Primo Grado Rosa Govone, I.C. Confalonieri – Milano
ARTI SCOMPARSI
Walter si svegliò di soprassalto. Aveva sognato qualcosa di confuso, strano, inquietante, eppure non riusciva a ricordare. Erano le otto del mattino, fatto inconsueto per lui che era un dormiglione. Inoltre era stravolto dal trasloco appena concluso. Si era appena trasferito dalla California. Il padre aveva ottenuto un lavoro nella piccola cittadina di Skagen, a nord della Danimarca, e lui aveva dovuto lasciarsi tutto alle spalle: gli amici, la sua casa, le sue avventure. In quel paesino morto, non c’era nulla di interessante, niente da fare o da scoprire. Sapendo che non si sarebbe più riaddormentato, decise di recarsi in centro per visitare Skagen. Nemmeno il nome lo convinceva. In quel momento poteva contare solo sullo zio, il suo più caro amico e consigliere. Lo zio, William Martin, era un famoso investigatore, conosciuto in tutta America. Non c’èra un caso che non sapesse risolvere. Walter lo stimava, seguiva ogni suo caso ed era da lui che aveva erediatato la passione per l’investigazione. Il paesino era di solito molto tranquillo, ma quel giorno c’era un rumore incessante di sirene della polizia. Walter, ora ricordava, aveva sognato un omicidio.
«Cosa è successo?» domandò Walter a un passante che stava osservando la scena.
«È stata trovata la testa di una donna nella prateria» disse l’uomo preoccupato.
«Una testa?» esclamò Walter. «Come è potuto accadere?»
Walter si incamminò velocemente per avvicinarsi al luogo del ritrovamento. La polizia era distribuita intorno a un cuscino bianco che aveva assunto il colore tagliente del sangue, colato ovunque. La testa era quella di una donna, ormai quasi irriconoscibile. Era diventata biancastra, quasi viola; il sangue era indurito come rossa vernice secca. Era davvero surreale e pietrificante. Tutti guardavano con occhi spalancati: nessuno si era mai trovato di fronte ad una situazione del genere. Walter chiamò lo zio: lui avrebbe sicuramente saputo cosa fare.
«Zio, è successo qualcosa di grave qui!»
«Cosa figliolo?»
«Credo di avere un nuovo caso» esclamò Walter.
«Che cosa intendi?» chiese lo zio.
«È stata ritrovata una testa.»
«Una testa?!» esclamò con sorpresa lo zio. «Non posso occuparmi di questo caso adesso, sono a Miami e mi sto occupando di un altro grave delitto. Ma tu puoi farlo al posto mio, mi fido di te.»
«Ma io non penso di essere all’altezza…»
«Non temere. Ti aiuterò»
Quella era la sua occasione! Si diresse con determinazione dalla polizia.«Io posso occuparmi del caso» disse in modo perentorio agli agenti.
«Tu sei solo un ragazzino» gli rispose Rasmus Larsen, il capo della polizia.
«Mio zio é William Martin, è stato lui a dirmi di seguire il caso.»
«William Martin? Se lui è davvero tuo zio, allora per me va bene.»
Walter mostrò il volto dello zio su FaceTime che affermò con soddisfazione: «Assegnerò questo caso a mio nipote.»
Il capo non poteva che fidarsi di William.
«Va bene. La donna ritrovata morta è Annette Dubois. Dichiaro aperte le indagini» disse a Walter. Per prima cosa analizzarono la testa.
«La testa è stata tagliata con una vera e propria sega. Sul lato posteriore riporta il segno di un colpo. Se l’omicidio fosse avvenuto qui, tra questa erba alta, non avrebbe subito un urto così forte: penso che il corpo sia stato colpito su una superficie piatta e poi trasportato qui» disse quasi sospirando l’anatomopatologo.
«La testa è in queste condizioni da almeno tre giorni, in teoria dall’11 agosto. Sarebbe utile trovare il resto del corpo.»
A quel punto Walter aggiunse: «Potrei andare a interrogare i presenti e i familiari. Intanto lei mi terrà aggiornato su quello che scopre».
Walter non aveva mai interrogato qualcuno, era un po’ preoccupato ma, ormai, indietro non poteva tornare. Entrò nella stanza della stazione di polizia dove si sarebbero svolti gli interrogatori. Decise di ascoltare per primo Poul Sorensen, l’uomo che aveva ritrovato la testa.
«Buongiorno signore» disse Walter «la sorprende un fatto del genere qui a Skagen?» L’uomo aveva una faccia imbronciata e spaesata.
«Sono un po’ impaurito in verità, ma quella donna era molto ricca… e misteriosa»
«Cosa intende dire? Cosa sa della vittima?»
«Non so quasi niente, stava sempre per i fatti suoi: sa, in un paesino così piccolo, tutti si conoscono ma lei… be’, lei l’avrò vista una o due volte.»Walter gli chiese come avesse ritrovato la testa.
«Era da un po’ che io e mia moglie volevamo esplorare la brughiera, eravamo usciti per una passeggiata serale, romantica, noi due, da soli. C’era una nebbia bassa e fitta. Una luminosa, gialla e spettacolare luna piena illuminava i lunghi fili d’erba verde. Era come un faro che rischiara il mare di notte. Ad un certo punto, mia moglie vide una rana, la seguì in mezzo all’erba alta dove c’era la testa. Alla sua vista mia moglie svenne. Chiamai subito la polizia e la aspettammo sulla strada.»
«Non la tratterò oltre» disse Walter «ma vorrei interrogare anche sua moglie.»
«Non credo ce ne sia bisogno…» rispose l’anziano un po’ turbato.
«Può entrare Else Lund» continuò Walter. «Buongiorno signora.»
«Lei chi è?» disse la moglie di Poul.
«L’investigatore di questo crimine, mi chiamo Walter.»
«Ma non è troppo giovane per esserlo?»
«Mio zio è William Martin, un famoso investigatore: è lui che mi ha assegnato questo caso.»
«Ah, ma davvero?! Ora capisco. Bene, che cosa vuole chiedermi?»
«Cosa sa sul ritrovamento della testa? Ho già parlato con suo marito, però non mi ha detto molto.»
«In realtà io non so niente di più, però posso dire che quella donna era una persona sgarbata con tutti, persino con il figlio… cioè, il figliastro. Era assetata di soldi come una sanguisuga…»
«D’accordo. Grazie signora Else, può tornare a casa» disse infine Walter.
«Ora vorrei interrogare i famigliari che vivono qui, se è possibile» continuò. Il caso si stava facendo sempre più difficile ed interessante. Iniziò dal figlio.
«Buongiorno signor Theo, mi hanno detto che viaggia molto, è vero?»
«Sì, infatti non ero qui al momento dell’omicidio.»
«Ah, e dove si trovava?»
«A Firenze, in Italia.»
«Quando è tornato?»
«Appena ho saputo del ritrovamento del corpo, ovvero due giorni fa.»
«Mi dispiace per sua madre.»
«Lei non era mia madre.»
«Ah… mi scusi. Immagino le dispiaccia comunque che sia morta.»
«Sì, mi dispiace mmm-molto» rispose Theo balbettando. «Quella donna si era cacciata nei guai… ma io non so niente del suo omicidio.»
«Bene, per il momento abbiamo finito. Per favore, può darmi il suo biglietto di viaggio?»
«Ovvio, glielo farò avere» rispose il ragazzo con una risatina.«Arrivederci» salutò Walter, mentre Theo se ne andava. Walter avvertì un brivido oscuro, come se un grande ragno peloso gli camminasse sulla schiena, ma non ebbe nemmeno il tempo di elaborare che ricevette una chiamata.
«Signore, abbiamo fatto un ritrovamento molto importante. Venga il più presto possibile.» Walter arrivò alla prateria. Susanne Mikkelsen, l’anatomopatologo, gli disse: «Abbiamo trovato il resto del corpo. Nella tasca della giacca c’era la lettera anonima di un invito a cena. Ci sono due colpi di pistola, uno sulla gamba e uno al cuore. Le hanno sparato prima di procedere al taglio della testa.»
«Una cosa terrificante! Potreste analizzare i proiettili?»
«Certo. Ah, c’era anche un orologio nella tasca della giacca della vittima» aggiunse.
«Potrei vederlo?»
Susanne glielo passò delicatamente in mano. Era un grande orologio da taschino splendente, in oro giallo. Le lancette, nere e lunghe, erano ferme sulle 22:09. Il vetro era crepato, con uno schizzo rosso di sangue. Walter lo girò; sul retro erano incise due iniziali: A. D.
«Annette Dubois. Doveva appartenere alla vittima. L’orario indicato dalle lancette è davvero interessante… potrebbe essere l’orario del delitto?»
In quel momento il cellulare squillò di nuovo: era Rasmus, il capo della polizia. «C’è una persona che vorrebbe parlare con lei.»
«Devo andare, Susanne, mi spiace, ma tornerò presto» disse Walter.«Posso venire con te? Se possiamo darci del tu…» chiese Susanne.
«Certo, volentieri. Indagheremo insieme.» Raggiunsero Rasmus.
«Mi perdoni per averla interrotta, ma questa signora era molto impaziente di vederla» precisò il capo della polizia.
«Mi scusi, mi scusi!» disse la signora con un respiro affannoso. Era bassa e un po’ grassa, aveva i capelli raccolti in uno chignon disordinato, e grandi ciuffi di capelli castani chiari le scendevano sul viso. Indossava un vestito con fiori rossi e un grembiule sporco a quadretti rosa. « Signore! Signore!» urlò «Ho visto qualcosa!».
«Signora, stia tranquilla, si calmi, perché non inizia dicendomi il suo nome?»
«Certo, mi scusi… è che sono stata molto scossa dalla notizia dell’omicidio. Mi chiamo Marianne Holm. Sono qui perché quattro giorni fa, mentre dormivo tranquilla, sono stata svegliata da alcuni tonfi, come se un elefante camminasse al piano di sopra. Sono uscita di casa e ho visto qualcuno nella villetta a fianco. Dopo essere tornata dentro per prendere un cannocchiale, sono uscita di nuovo e ho visto una macchina che se ne andava… con uno schizzo rosso di sangue sul finestrino!»
«Ha visto per caso la targa?» chiese Walter.
«No, era troppo veloce, era buio… e io ero così spaventata!»
«Mi sa dire che ore fossero?»
«Dunque, doveva essere intorno alle 22:30.»
«Grazie signora, ora può tornare a casa.»
“Se la signora era così preoccupata, perché non è andata subito dalla polizia?” pensò Walter un po’ perplesso. Ora però si era fatto tardi. Susanne e Walter si salutarono e tornarono a casa. Walter si preparò per andare a letto e chiamò lo zio.
«Ehi, ragazzo hai scoperto qualcosa?»
«Quasi nulla, zio, questo caso è davvero complicato!»
«Una cosa che può aiutarti è redigere una tabella dei fatti, dove riporti i nomi dei sospettati, le informazioni sulla vittima, l’orario e il giorno del delitto. Oh scusa, mi stanno chiamando. Ci sentiamo domani, Walter.»«No, zio… aspetta». Aveva già attaccato. “Ci dormirò sopra” pensò Walter, e crollò nel sonno più profondo. Il giorno seguente Walter si recò di nuovo da Susanne. Si sentiva particolarmente in forma, voleva risolvere il caso.
«Buongiorno Susanne»
«Ehi, buongiorno!»
«Pensavo di scrivere una tabella dei fatti.»
«Una cosa?»
«Così la chiama mio zio. In pratica è dove registriamo ciò che sappiamo finora, ovvero:
Giorno del delitto: 11 agosto 1997
Ora del delitto: 22:09
Arma del delitto: sega elettrica e pistola
Scena del crimine: superficie piatta
Interrogati: Paul Sorensen, Else Lund, Theo Dubois, Marianne Holm Sospettati: Marianne Holm e Theo Dubois
Movente: ?
Non è molto, quindi farò qualche altra domanda agli indagati.»
Per prima cosa, Walter chiese se usassero o possedessero delle pistole: nessuno le aveva. Poi domandò quale rapporto avessero con la vittima: tutti risposero che la donna non era una persona stimata, non piaceva a nessuno di loro.
«Senti, non c’è tempo da perdere! Secondo me dovresti prendere in considerazione ciò che ti ha detto la signora Marianne» esclamò Susanne.«Sì, hai ragione. Andiamo da lei.»
Passarono dalla Centrale per recuperare un mandato di perquisizione e si diressero alla casa della signora Holm che sorgeva vicino a quella di Theo. Davanti alle due villette Walter capì. In quel momento stava giusto uscendo Theo.
«Scusi, Theo, possiamo entrare in casa sua?»
«Non so… è tutto in disordine, non credo che le piacerebbe se…»
Walter lo zittì prima che finisse la frase. «Non importa, ho un mandato.»Walter e Susanne entrarono guardandosi in giro. Sul pavimento c’era un capello, lungo, grigio e liscio. Walter lo raccolse servendosi di un fazzoletto. E, nascosto in un angolo, trovò un foglio: era un biglietto aereo per un volo da Firenze ad Aalborg con partenza il 10 agosto.
«Susanne, la lettera è un invito a cena, vero?»
«Esattamente. Non è riportata né data né nome.»
«D’accordo. Raduniamo tutti gli indagati in Centrale. È ora di risolvere il caso.»
Si ritrovarono tutti lì: Walter, Susanne, Rasmus, Marianne, Theo, Poul ed Else. Fu Walter a iniziare a parlare:
«Grazie a tutti per essere venuti. Vi ho convocato qui perché sono arrivato a una conclusione: l’assassino di Annette Dubois è tra noi.»
Nessuno dei presenti fiatò, rimasero in attesa. Walter continuò svelando cos’era successo: «Il signor Theo torna da Firenze il 10 agosto. Arrivato a casa, si sistema e invita a cena la signora Annette, la sua matrigna. Intorno alle 22, probabilmente dopo un’accesa discussione, Theo prende la pistola e le spara alla gamba. Lei cade a terra, sbattendo la testa sul marmo del pavimento con un fortissimo tonfo, che sveglia la signora Marianne. Theo spara di nuovo ad Annette, uccidendola con un colpo al cuore. A quel punto prende una sega, taglia la testa e carica il corpo in macchina. Sono le 22:30 quando la signora Marianne vede la macchina verde del signor Theo, con il finestrino sporco di sangue, sfrecciare via verso la prateria. Ho ragione, signor Theo?»
«Eh va bene, lo confesso, sono stato io. Mio padre era appena morto d’infarto, senza aver lasciato testamento. Annette aveva deciso di prendersi tutto. La invitai a cena per discutere proprio di questo. Litigammo. Lei stava per andarsene quando le dissi che l’avrei denunciata. A quel punto si fermò, si girò e mi tirò uno schiaffo. L’aveva sempre fatto, mi picchiava sin da quando ero solo un bambino. Quella donna non mi era mai piaciuta, non la sopportavo più! Fu allora che presi la pistola e la uccisi. Andai nel panico, tagliai la testa e mi disfai del corpo, cercando di nascondere gli indizi e di crearmi un finto alibi. Mi dispiace, ma non potevo rischiare di perdere tutto.»
Rasmus arrestò il colpevole.
«Ma lei è formidabile!» esclamò Else stupefatta. Anche Poul e Marianne si complimentarono con il giovane investigatore, per poi tornare a casa tranquilli e soddisfatti. Ormai Walter era divenuto famoso non solo in città, ma in tutta la Danimarca. Suo zio era molto fiero e orgoglioso, mentre lui ora aveva una nuova amica e compagna di avventure: Susanne Mikkelsen.
Classe 2D: Alessandro Arzu, Matilde Di Ceglie, Achille Garcia,
Riccardo Savastano
Scuola Secondaria di Primo Grado Maffucci – Milano
IL CURIOSO CASO
DEL PONTE DELLA VITTORIA
Maggio, provincia di Lecco Capodanno 1999
Era la notte di Capodanno. Il fiume scorreva veloce. Il ponte sembrava lunghissimo per Pietro, anche se lo percorreva a grandi passi, ma sapeva che un proiettile correva più veloce di lui. Aveva capito chi era il suo inseguitore e anche il motivo per cui lo voleva morto.
Pietro sentì i passi sempre più vicini mentre iniziavano i botti, la parte più bella della festa, ma quella notte era diversa: i passi si fermarono e girandosi vide una sagoma scura il cui braccio si allungava sempre di più, fino ad arrivare all’altezza della sua testa. Un botto si confuse tra gli altri, ma questo era più sordo, senza scintille, senza colori. Pietro cadde senza vita a terra. Il suo assassino, come un rapace, si fiondò sul corpo esanime del ragazzo, lo alzò di peso e non aspettò un secondo di più per sbarazzarsene, buttandolo giù dal ponte.
L’acqua accompagnò il cadavere fino a raggiungere la piccola casa di un contadino sull’altra sponda.
«Buongiorno» disse il questore Taruno mentre l’ispettore si dirigeva verso di lui.
«Buongiorno a lei, c’è qualche problema? E’ venuto fin qui dalla sede centrale?» disse l’ispettore Anfermi.
«Un contadino che abita sulle rive del fiume, sotto il ponte, ha chiamato perchè dice di aver trovato il corpo di un ragazzo. Non succede niente dall’estate del 1992, quando un uomo ha rapinato un negozio di alimentari. Che il contadino sia impazzito?» scherzò Taruno. «Vai a controllare e tienimi informato» aggiunse poi con voce seria.
L’ispettore Anfermi era un uomo alto, con una chioma bianca e gli occhi tristi che, in passato, non erano stati così. Da ormai due anni i suoi occhi avevano perso vita. Da quando un’enorme disgrazia si era abbattuta sulla sua famiglia.
L’ispettore si diresse verso la sua macchina e aprì la portiera. L’auto aveva macinato molti chilometri e, da qualche settimana, emetteva strani rumori. Anfermi però non ci aveva mai fatto caso: era sempre distratto quando guidava. La mattina, quando andava al lavoro, sentiva sempre la radio per tenersi informato, come la sera d’altronde, ma quel giorno tenne la radio spenta. Era assorto nei suoi pensieri: come si poteva anche solo immaginare di uccidere un ragazzo così giovane?
Attraversò il ponte e scese dalla stradina che portava alla casa di Alberto, il contadino. Quando arrivò vide il corpo del ragazzo. Lo riconobbe, si chiamava Pietro, un ragazzo di appena quindici anni che abitava in paese. Era steso sulla sponda del fiume: i suoi jeans e la sua maglietta bianca erano tutti strappati e ancora bagnati.
L’ispettore bussò due volte sulla porta di legno e, pochi istanti dopo, il contadino aprì.
«Salve ispettore» disse con tono triste.
«Salve» rispose in modo schietto e formale Anfermi, girandosi indietro a guardare il cadavere. Entrò in casa. Si tolse il lungo cappotto nero e Alberto fece un gesto con la mano per indicare la sedia. Il contadino mise la teiera sul fornello e poi, anche lui, si mise a sedere.
«Terribile! Un ragazzo morto così. Chi può fare una cosa del genere? Chi?» affermò Alberto, alzando sempre di più il tono della voce.
«Non so. A che ora ha ritrovato il corpo?» chiese l’ispettore.
«Verso le cinque, quando mi sono svegliato.»
«Capisco. A giudicare dalle condizioni del ragazzo, il fatto è accaduto stanotte. Lei dov’era ieri sera?» «Ero in centro a festeggiare Capodanno con i miei amici. Se non mi crede glielo chieda!»
«Non si preoccupi, le credo. Piuttosto, sa chi potesse voler morto Pietro?» chiese Anfermi.
«No, però in questo paesino si parla. La madre del ragazzo mi ha detto che suo figlio si era messo in un bel pasticcio, ma non mi ha detto altro.»Allora l’ispettore scattò in piedi, ringraziò il contadino, prese il suo giubbotto e se ne andò. Avrebbe fatto visita a Beatrice, la mamma di Pietro, anche se prima avrebbe voluto interrogare gli amici di Pietro. I ragazzi, tra loro, si dicono tutto e non trovava un motivo per cui Pietro non avrebbe dovuto fare altrettanto. Uscito dalla casa, prese la macchina e si diresse alla stazione di polizia. Chiese ai suoi agenti di far spostare il corpo e poi andò nel suo ufficio, cercando tra le varie scartoffie sulla scrivania l’indirizzo del migliore amico di Pietro.
Andò da lui, ma il ragazzo non sapeva niente: a Capodanno Pietro non si era fatto vedere, probabilmente era rimasto a casa. Un motivo in più per andare a parlare con Beatrice. Salii in macchina e, questa volta, accese la radio. Appena partì l’ispettore sentì: Ci è appena arrivata la notizia della morte di Francesco Bagli. La cameriera l’ha trovato morto nella sua stanza, una pugnalata al petto. Dice di non aver sentito alcun rumore, alcun lamento. L’assassino è entrato dalla finestra del primo piano. Anfermi sgranò gli occhi e schiacciò l’acceleratore a tavoletta, attraversando a tutta velocità le strade vuote del paese. Arrivato davanti alla villa del signor Bagli, si mise i guanti monouso e spinse il cancello aperto. Bussò alla porta e la cameriera gli aprì. Salutò la ragazza, ancora sconvolta, che lo fece entrare. Salirono insieme al primo piano, svoltarono a destra e attraversarono un lungo corridoio dove, alla fine, si trovava una porta in legno pregiato tinta di bianco. A questo punto la cameriera lo lasciò solo, non voleva vedere ancora quella scena straziante. L’uomo era sdraiato sul letto, a eccezione delle gambe che pendevano fino a terra. Il suo sguardo rattristò molto l’ispettore che si concentrò sui particolari della stanza, controllando qualsiasi cosa: dentro le tasche dei giubbotti riposti nell’armadio, sul letto, e sulla scrivania. E a quel punto si bloccò. Un foglietto scritto a penna, in modo frenetico e quasi indecifrabile, colpì molto la sua attenzione. Riuscì a capire tutto, dopo qualche sforzo: Ora non ti diverti più con la tua amante eh? Io non ti bastavo? Ora tutto sembrava più chiaro: forse era stata la moglie di Bagli a ucciderlo. Doveva interrogarla, ma dove poteva essere? Dopo aver vagato intorno per qualche minuto, aprì la porta e seguì il corridoio fino ad arrivare alle scale. Dopo averle scese girò a sinistra ed andò in soggiorno dove trovò la cameriera, seduta sul divano in pelle, posizionato al centro della stanza.
La ragazza aveva la testa china e le mani tra i capelli. Anfermi si sedette, la osservò, poi spostò lo sguardo verso un punto a caso della stanza, come stava facendo lei.
«Sa, io… io pensavo che quella donna fosse una brava persona…» disse la cameriera, che aveva letto il biglietto, spezzando il silenzio. «Molti reputavano Francesco una persona cattiva, certi anche malvagia, ma lui mi ha sempre trattata bene, era molto gentile con me… io lo amavo!» strillò in lacrime.
«Quindi… eri tu…» chiese sempre più confuso l’ispettore.
«Sì… ma io non pensavo, non volevo! Sua moglie è l’unica persona crudele in questa casa!» L’ispettore mise una mano sulla spalla della donna, mentre lei continuava a parlare: «E-e io… s-so dove si trova» singhiozzò la cameriera. All’uomo si illuminarono gli occhi.
«Dove? Mi dica dove!»
«A-a L-Lecco.» Prese un foglio di carta e scrisse l’indirizzo. La donna fece un respiro profondo e si calmò. «Me ne ha parlato qualche giorno fa: ha detto che sarebbe andata a incontrare una sua vecchia amica.»
«Grazie, lei ha dato un’enorme mano. La ringrazio ancora. E non si preoccupi, faremo subito spostare il corpo del signor Bagli.»
Appena uscito, l’ispettore si diresse verso la stazione di polizia e chiamò nel suo ufficio due agenti: Gianluca Ferri e Luca Perla. Disse loro di dirigersi a Lecco, all’indirizzo riferito, e ricordò loro di stare molto attenti. Lui doveva andare da Beatrice e, dato che la casa era vicina, decise di andare a piedi. Arrivato alla staccionata di legno, contemplò l’abitazione: era abbastanza grande, con il tetto a spiovente e con tegole colorate di nero, le mura erano blu, colore che stonava molto con la porta e le persiane chiuse. Attraversò il piccolo giardino, salì i pochi gradini che lo separavano dalla porta. Bussò. La porta si aprì. I due poliziotti, ormai arrivati a Lecco, all’indirizzo che comunicato dall’ispettore, si guardarono negli occhi: lì avrebbero trovato la moglie di Bagli. Salutarono frettolosamente la signora che li accolse sulla porta. Poi Perla le chiese se Antonella Bagli fosse in casa. La donna rispose che non c’era, era appena uscita. Rimasero sorpresi e le chiesero se sapeva dove fosse andata.
«Non c’è, è appena tornata a casa. Perchè? Si è messa nei guai?» chiese l’amica della signora Bagli, ora preoccupata. Perla rispose che, per il momento, non potevano dirle di più, erano informazioni riservate. La donna insistette ancora un po’, ma inutilmente, finché i poliziotti uscirono dall’appartamento e ripartirono per tornare a Maggio.
L’ispettore salutò Beatrice che lo fece entrare in casa. Lo invitò ad accomodarsi sul divano, ma lui rifiutò. Preferiva sedersi su una sedia e chiese se la signora potesse fare lo stesso. Beatrice accettò.
«Signora, le mie più sentite condoglianze per la sua perdita. Come si sente?» chiese l’ispettore Anfermi.
«Come pensa che mi dovrei sentire? Anche lei sa cosa vuol dire perdere un figlio.»
Anfermi la guardò. Quelle parole pesavano, ma non aveva sicuramente intenzione di affrontare la questione in quel momento. Al contrario, Beatrice sembrava voler parlare della morte di suo figlio. Lo fissava senza la minima traccia di umidità negli occhi. L’ispettore fece un respiro profondo e poi ricominciò con le domande.
«Mi dica, lei sa perchè qualcuno poteva voler morto Pietro?»
Beatrice non aspettò neanche un secondo per rispondere.
«Certo che lo so! È stato quello schifoso di Francesco Bagli. La sua morte è stata una liberazione per tutti».
L’ispettore, dubbioso, rispose che non aveva nessuna prova, ma la signora si alzò accigliata dalla sedia, facendo un grande rumore. Non staccò mai lo sguardo da lui, tranne quando si girò per prendere dalla scrivania alcune foto fatte con una polaroid, poi stampate per ingrandirle. Le lanciò sul tavolo e poi si risedette. Anfermi le prese e le osservò. Erano foto fatte molto di fretta, da dietro un albero perché il lato sinistro era coperto da un tronco. Nel centro della foto, da dietro una finestra, si riusciva chiaramente a vedere Bagli che baciava la cameriera.
«Aveva fatto queste foto e le aveva più volte fotocopiate per sicurezza. Quelle originali le aveva messe in una busta e aveva scritto che gli avrebbe dovuto dare 10 milioni di lire se non voleva che finissero nelle mani della signora Bagli. Quello ha pensato bene di concludere questa faccenda uccidendolo.»
L’ispettore non sapeva cosa rispondere e, per il momento, non aveva altre domande.
«La ringrazio molto, ma ora devo andare, ho molte faccende da risolvere.»
«Si certo, grazie a lei. Arrivederci.»
Anfermi prese il suo giubbotto, si recò alla porta e corse alla stazione di polizia, ripensando a quello che aveva detto Beatrice. Era ormai tanto che non parlava di quello che era successo due anni fa: il figlio aveva da poco preso la patente e voleva provare la sua macchina. La prese di nascosto e decise di andare in autostrada, ma non era abbastanza pronto. Andava troppo veloce lui che aveva appena imparato: quando frenò di colpo, l’auto dietro lo tamponò. Il ragazzo morì sul colpo. La madre allora decise di finirla lì. E all’ispettore gli occhi divennero tristi. Arrivato alla stazione, Anfermi corse a parlare con i due poliziotti, ormai rientrati a Maggio. Si erano recati all’indirizzo segnalato, ma ormai la moglie di Bagli se ne era già andata. L’amica aveva detto che si era diretta a Maggio, ma sicuramente le aveva mentito. Non avevano ancora capito chi avesse ucciso Pietro e perchè. Allora Anfermi li aggiornò sulla situazione: Pietro aveva ricattato Bagli fotografandolo con la sua amante e minacciandolo di mostrare le prove a sua moglie. Per evitarlo, avrebbe dovuto dargli 10 milione di lire. A quel punto, il signor Bagli ha pensato bene di uccidere il ragazzo. Poco dopo, la moglie ha scoperto da sola il tradimento e ha deciso di vendicarsi. I due poliziotti annuirono e ringraziarono l’ispettore per la spiegazione. Il funerale di Bagli era stato organizzato per il 21 gennaio. C’erano almeno venti persone predisposte in tre file, accanto alla tomba di mogano. L’ispettore andava sempre ai funerali delle persone coinvolte nei suoi casi (anche se, essendo un paese piccolo, non erano molti, per fortuna). Ma tra tutte le persone vestite in nero, una in particolare attirò il suo sguardo. Era la moglie di Bagli! Ma con che faccia si presentava al funerale di colui che aveva ucciso?! Era assurdo, non capiva. Corse alla sua macchina parcheggiata subito a sinistra del cancello per entrare nel piccolo cimitero poco fuori Maggio. Aprì la portiera destra e, dal portaoggetti, estrasse la pistola e un paio di manette. Proprio mentre il prete recitava le frasi di addio, Anfermi urlò:
«Mani in alto!»
Puntò la pistola contro la donna e lei lo guardò con uno sguardo fisso e spaventato. Era rimasta a bocca aperta. Era una bella donna, con due nei sulla faccia, all’altezza delle labbra, i capelli biondi e la carnagione molto chiara. Aveva gli occhi rossi già da prima: come si fa a piangere per una persona che hai ucciso? L’ispettore corse verso di lei per ammanettarla. La signora Bagli non capiva cosa stesse accadendo: perchè la stavano arrestando? Perché suo marito era morto? Perché le stava succedendo tutto questo? Anfermi la fece salire in auto e la portò nella stanza per gli interrogatori. La stanza era separata da una porta sottile. Appena entrati si vedeva un tavolo, al centro, con due sedie alle estremità. Da tutti e due i lati c’erano dei vetri, da cui gli altri avrebbero potuto seguire l’interrogatorio. Questa volta però non c’era nessuno.
«Mi dica, perchè l’ha fatto?» chiese l’ispettore con tono cupo.
«Che cosa? Mi state veramente incolpando? Io ho sempre amato mio marito, ci siamo sempre voluti bene!»
L’ispettore la incalzò: «Come fa a dire che non è stata lei, nega l’evidenza! Ha ucciso suo marito e ha persino avuto la geniale idea di lasciare una prova schiacciante, un biglietto scritto da lei. Vuole vederlo, così magari le rinfresco la memoria?»
Uscì dalla stanza, andò nel suo ufficio e prese una bustina di plastica, dove era contenuto il biglietto lasciato dalla signora Bagli. Lei sgranò gli occhi e scoppiò in un pianto ancor più disperato.
«Cosa? Non è possibile. Lui non mi tradiva! Non posso crederci… Ma quel biglietto non l’ho scritto io, sono stata incastrata!»
Anfermi non riusciva a capire per quale motivo continuasse a fare resistenza: ormai era ovvio, non poteva essere stato nessun altro.
«Mi ascolti, noi abbiamo tutte le prove per arrestarla, non abbiamo bisogno della sua confessione. Se io perdo tempo qui con lei è solo per sapere se sia pentita di ciò che ha fatto, anche se questo non cambierebbe la sua situazione. La faremo comunque spostare a San Vittore» disse con calma l’ispettore. La donna era tutt’altro che calma, piangeva praticamente da due ore e aveva quasi finito le lacrime. Anfermi uscì dalla stanza e disse ai due poliziotti di trasportarla in carcere. Nel frattempo lui si sarebbe recato da Beatrice per aggiornarla. Varcò per la seconda volta il cancelletto, attraversò il giardino e bussò alla porta. La donna aprì, lo salutò e gli chiese che cosa ci facesse lì. Anfermi rispose che avevano risolto l’omicidio del signor Bagli e voleva spiegarle i dettagli. Lei lo fece entrare e lui si sedette sempre sulla stessa sedia. La donna aveva una vestaglia rosa, sotto alla veste si intravedeva una maglietta. Aveva una sigaretta in bocca, l’unica differenza rispetto all’altra volta.
«Allora, come avete risolto il caso?» disse allontanando la sigaretta dalla bocca. Poggiò il gomito sul tavolo e adagiò il mozzicone sul posacenere.
«È stata la signora Bagli: è venuta al funerale del marito, lì l’abbiamo arrestata e portare in centrale. Lei ha pianto per ore, continuando a dire di essere innocente. Mi è anche venuto il dubbio che potesse dire la verità… ma non so chi altro potrebbe essere stato… » disse Anfermi guardandola fissa.
«Mmmh, chissà» rispose semplicemente Beatrice. «Ah, ho messo su il caffè. Mi scusi, vado di là a controllare.»
Prima però si diresse verso il mobile, in soggiorno. Aprì il cassetto a sinistra, prese un pacchetto di sigarette e un accendino. L’ispettore, che aveva assistito alla scena, si incuriosì vedendo molti fogli ammassati dentro al cassetto. Si alzò silenziosamente dalla sedia e, in modo furtivo, attraversò la stanza a fianco della cucina. Aprì il cassetto, prese quei fogli e li lesse. Rimase stupito. Anfermi corse alla porta di ingresso, dicendo velocemente a Beatrice:
«L’ aspetto al Ponte dei Suicidi alle 17. Vorrei porle qualche altra domanda» disse Anfermi, prima di uscire.
Il Ponte dei Suicidi in realtà si chiamava Ponte della Vittoria, ma molti si buttavano da lì, e per questo, si era guadagnato questo macabro soprannome. Diede lo stesso appuntamento al contadino e alla cameriera di Bagli. Tutti lo stavano aspettando.
«Chiunque sia qui è coinvolto in questo caso, tutti per motivi diversi»«Cosa? Anche voi qui?» esclamò il contadino sorpreso.
«Potrei dire lo stesso di te» disse Beatrice in modo acido. Poi la cameriera intervenne:
«Si be’, io non c’entro nulla… perchè mi trovo qui?» disse singhiozzando tra le lacrime. BANG! Un forte sparo si udì in tutto il paese. L’ispettore aveva la pistola puntata in alto, guardava il pavimento. La pistola fumava ancora, come gli occhi dell’ispettore con cui guardò ognuno di loro. «Fate silenzio!» Tutti lo osservarono sbigottiti.
«Questa storia deve finire. Ora, sappiamo che Pietro aveva fatto delle foto documentando il tradimento da parte di Bagli nei confronti di sua moglie: il ragazzo gli chiese una grande somma di denaro in cambio del suo silenzio. Allora Bagli decise di ucciderlo, proprio qui, su questo ponte. Nel frattempo, la moglie scoprì da sola il tradimento e, per vendicarsi, assassinò il marito. O almeno così credevo, fino ad ora. Sono stato a casa di Beatrice per riferirle le novità sul caso che ci sembrava concluso. E, in un cassetto, ho trovato una cosa sconvolgente.»
La donna gli rivolse uno sguardo carico di odio, ma Anfermi continuò a parlare.
«Questi» disse, tirando fuori dalla tasca alcuni fogli arrotolati «sono la prova concreta che ad aver ucciso Bagli non è stata sua moglie. Il colpevole è qui tra noi. Ora, siamo tutti sicuri che Alberto non aveva alcun motivo valido per farlo. La cameriera, invece, avrebbe potuto volerlo morto perchè Bagli amava sia lei che la moglie ma, dopo averci parlato, mi sono convinto che non potesse essere coinvolta. Resta solo una persona.»
L’ispettore puntò la pistola verso Beatrice che spalancò la bocca, incredula.
«Su queste pagine ci sono degli scarabocchi molto simili a quello che ho trovato nella camera di Bagli… vedo che eri indecisa su cosa scrivere» disse Anfermi. «Sei stata tu! Io mi fidavo…» affermò deluso, per poi abbassare l’arma e aggiungere: «Io però non sono come te, non ucciderò nessuno, e nemmeno tu avresti dovuto farlo!»
«No, chi ha portato via il mio Pietro doveva soffrire! E ora mio figlio ha avuto giustizia.»
L’ispettore corse verso la donna e tirò fuori un paio di manette dalla tasca. Beatrice non oppose resistenza, anche se gli parve di vederla piangere. Tese le mani verso di lui che l’ammanettò, accompagnandola verso la macchina.
«Tornate a casa» disse Anfermi riferendosi alla cameriera e ad Alberto, ancora sbigottiti. La cameriera le urlò contro:
«Tu! Tu hai ucciso il mio Francesco! Hai ucciso il mio Francesco!» disse, cercando quasi di colpirla, ma fu allontanata subito da Alberto.
L’ispettore fece entrare Beatrice nell’auto, la portò alla stazione di polizia. Successivamente, fece scarcerare la signora Bagli, riconosciuta innocente.«Buongiorno» disse il questore Taruno, mentre l’ispettore si dirigeva verso di lui. Erano a Lecco, alla sede centrale della polizia. «Ha risolto il caso in modo eccellente, complimenti!»
«La ringrazio» rispose Anfermi, sedendosi su una sedia di fianco alla scrivania del questore. Parlarono un po’ della risoluzione del caso e, infine, l’ispettore si congedò. Uscì dalla stazione di polizia, prese la macchina e schiacciò l’acceleratore. Mentre guidava verso casa, accese la sua amata radio. Ora, finalmente, poteva rilassarsi.
Classe 2E: Gaia Cecchelli, Kyrylo Honcharov,
Pietro Salati, Viola Turci
Scuola Secondaria di Primo Grado Puecher – Milano
UN GIORNO E UNA NOTTE
Capitolo 1
Erano venti minuti che Amy aspettava il suo migliore amico. Gli aveva scritto che stava uscendo dalla centrale di polizia, ma non era ancora arrivato. Probabilmente era stato trattenuto dal suo nuovo capo. Erano solo tre giorni che Billy lavorava come segretario dell’ispettore Gray, famoso per il suo caratteraccio. In quel periodo era anche peggio perchè non aveva nessun caso per le mani. Squillò il telefono.
«Pronto?»
«Amy sono Billy. Mi dispiace per il ritardo, quel vecchio gufo dell’ispettore mi ha trattenuto. Sto arrivando.»
Tipico di Billy. Johnny era distrutto. Odiava fare gli straordinari al bar, ma almeno lo pagavano bene. E lui aveva bisogno di quei soldi. Non era facile dover mantenere se stesso e la propria sorellina da quando aveva diciannove anni, ma era determinato a farcela, per quanto fosse dura.
L’appartamento dove Johnny viveva con sua sorella si trovava all’ultimo piano di un vecchio condominio nella periferia di New York. Non era niente di che, ma era la loro casa. Johnny cercò di aprire la porta più piano possibile, per non svegliare la sorella già addormentata, ma fallì nella sua impresa. Appena entrato in casa, infatti, Amy gli saltò addosso, facendolo quasi cadere a terra.
«Johnny! Ero così preoccupata. Dov’eri finito?»
«Ti ho già detto che non ti devi preoccupare, lo sai che mi capita spesso di fare tardi a lavoro. Non mi dovresti aspettare sveglia.»
Capitolo 2
Anche quella sera Johnny aveva fatto tardi. Mentre stava uscendo dal bar si sentì chiamare e si girò. La voce proveniva da un angolo buio del bar dove erano sedute alcune persone. Johnny cercò di far finta di niente ma, a quel punto, la maggior parte del gruppo si era già alzata per raggiungerlo. Anche se non mostravano i volti Johnny sapeva benissimo chi erano. E non era per niente contento.
«Johnny! Che piacere vederti» lo approcciò uno della banda.
«Purtroppo non posso dire lo stesso, Mike»
«Come mai così scontroso? Vogliamo solo fare quattro chiacchiere a proposito di quella cosa»
«So benissimo cosa volete da me Dan, ma non posso darveli»
«L’accordo diceva che avevi venti giorni per procurarti i soldi, e venti giorni sono passati. Ora devi sborsare o troveremo un altro modo per farci pagare»
«Ad esempio?»
«Be’, ho saputo che hai una deliziosa sorellina, magari uno di questi giorni potresti presentarcela…» Johnny vide rosso.
«Non mettete in mezzo mia sorella!»
Non si trattenne e tirò un pugno a uno della banda. Ovviamente la reazione fu immediata e scoppiò una rissa. Nel mezzo della lotta, per schivare un colpo, Johnny fece lo sgambetto a Dan che cadde, battendo la testa contro uno dei tavolini. Johnny sentì il rumore dell’osso del collo che si spezzava. Rimasero tutti immobili e Johnny ne approfittò per darsi alla fuga.
Capitolo 3
L’ispettore Gray stava dormendo tranquillo quando il telefono squillò.
Ancora mezzo addormentato si alzò per rispondere:
«Pronto, parla l’ispettore Gray».
La voce squillante del suo nuovo segretario lo strappò completamente dal dormiveglia:
«Pronto ispettore, ci è stato appena comunicato un caso di assassinio e pensavo le potesse interessare…»
Una scintilla si accese nei suoi occhi. «Certo che mi interessa! Arrivo subito.»
La vista di un cadavere non era mai piacevole, specialmente quella di uno con il collo spezzato, ma erano cose a cui ti abituavi dopo tanti anni di servizio. A giudicare dalla faccia del suo segretario, invece, era chiaro che per lui fosse la prima volta.Il corpo era stato identificato come quello di Daniel Brown, un nome già noto alla polizia, poiché era stato arrestato pochi anni prima per spaccio di droga. Era morto in seguito a una caduta durante la quale era andato a sbattere contro uno dei tavolini, con tanta violenza da rompersi l’osso del collo. “Il tutto era successo probabilmente durante una rissa” ipotizzò l’ispettore, e lo comunicò a Billy che, con mano tremante, stava prendendo appunti. La caduta era stata sicuramente causata da un’altra persona e questo significava che avrebbero dovuto trovare un assassino. La sua attività preferita.
Capitolo 4
Johnny vagò molte ore prima di decidersi a tornare a casa.
Aveva paura che Amy si accorgesse che c’era qualcosa che non andava, e lei doveva rimanere fuori da questa storia. Sapeva che si sarebbe dovuto sentire oppresso dal peso di quello che era appena successo ma, al momento, era solo preoccupato per sua sorella.
La Banda aveva espresso la possibilità che la usassero come ricatto e, se fosse stato arrestato, nessuno si sarebbe preso cura di lei.
Doveva trovare un modo per tenerla al sicuro. A un certo punto, nel mezzo della notte, Amy venne svegliata dal rumore della porta che si apriva, ma stranamente non la sentì richiudersi. Questo fu il primo campanello d’allarme. In più chi era appena entrato non stava producendo nessuno dei rumori che suo fratello era solito fare quando entrava in casa. Si era appena seduta sul letto quando una figura nera, con il volto coperto, entrò in camera sua e la colpì alla testa.
Capitolo 5
L’ispettore Gray decise che la cosa migliore era cominciare subito a fare domande, prima che la voce si spargesse. Nel frattempo mandò a casa il suo segretario che si stava addormentando in piedi. Dopo “l’incidente” il bar si era svuotato ed era rimasto solo il proprietario, che stava in un angolo a fissarli torvi. Iniziò da lui, ma l’unica risposta che ottenne fu «Io non so niente, e anche se sapessi qualcosa non lo andrei certo a raccontare alla polizia!». Così decise di andare a fare un giro nei dintorni, contando sul fatto che molti fossero rimasti nei paraggi per vedere cosa stava accadendo. Questa volta ebbe fortuna.
Appena fuori dal bar, appoggiato a un lampione, c’era un ragazzino che aveva l’aria di uno che sapeva qualcosa.
«Ehi ragazzino, tu hai visto cosa è successo nel bar?»
«Può darsi…» rispose il ragazzo che doveva avere più o meno quindici anni.
«Venti verdoni potrebbero renderti più loquace?»
«Be’, parlarti potrebbe mettermi nei guai… quindi almeno trenta»
«Affare fatto. Allora dimmi cosa hai visto.»
Il ragazzino si lanciò in un racconto dei fatti molto dettagliato, fino al punto in cui Dan si era spezzato il collo. Gli aveva anche rivelato qual era la banda coinvolta nella rissa e dove poteva trovarli, ma gli aveva sconsigliato di andare a parlarci.
Eppure era esattamente quello il piano dell’ispettore.
Capitolo 6
Quando Johnny arrivò a casa e la trovò vuota, si fece prendere dal panico.
Era convinto che la Banda non avrebbe colpito immediatamente, invece era proprio quello che avevano fatto. E ora avevano la sua sorellina.
Decise che l’unica cosa che poteva fare era chiamare Billy e andare a riprendersela. Si sarebbe offerto in cambio di Amy. In fondo era lui che volevano. Billy si era appena addormentato quando Johnny lo chiamò.
Aveva la voce preoccupata, per questo Billy si affrettò a vestirsi, correndo per trovare un taxi. Non aveva capito quasi niente di quello che gli aveva detto Johnny, tranne che Amy era nei guai, e questo bastava.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per la sua migliore amica.
Capitolo 7
Billy era arrivato a una velocità sorprendente pensò Johnny che lo aveva sempre visto come un ragazzo timido, un po’ impacciato e con una incredibile propensione al ritardo. Aveva passato quei dieci minuti a ragionare su quanto poteva dirgli a proposito di quella storia e aveva deciso che, se fosse stato necessario, gli avrebbe confessato tutto. Ora però dovevano muoversi. Salirono entrambi sul taxi con cui era arrivato Billy per raggiungere il covo della Banda. Si fecero lasciare un po’ prima del luogo esatto e proseguirono a piedi. Johnny gli raccontò il casino che aveva combinato. Billy ascoltò senza fare commenti. Una volta arrivati, Johnny gli chiese di aspettarlo fuori e di entrare solo se avesse sentito rumori strani. Billy protestò, ma alla fine si arrese, mentre Johnny si dileguò all’interno del palazzo.
L’ispettore Gray girò l’angolo e si ritrovò in una viuzza che corrispondeva perfettamente alla descrizione del ragazzino. Era arrivato al covo. A un certo punto sentì delle voci e si nascose nell’androne di uno degli edifici vicini. A parlare, erano stati due ragazzi che si stavano avvicinando al portone della palazzina che interessava all’ispettore. Uno dei due entrò, mentre l’altro ragazzo si guardò intorno nervoso. L’ispettore lo riconobbe subito. Era il suo segretario.
Capitolo 8
L’interno del covo era come Johnny se lo ricordava.
Un lungo corridoio buio e polveroso su cui si aprivano varie stanze. Da una delle porte in fondo provenivano delle voci, tra le quali riconobbe con certezza quella di sua sorella. E sembrava piuttosto arrabbiata.
Johnny tirò un sospiro di sollievo. Amy stava bene. Si affrettò ad attraversare il corridoio e ad aprire la porta. Billy si sentì afferrare per la giacca, scaraventare per terra, e subito dopo si trovò sopra l’ispettore Gray .
«Ispettore, che diavolo fa! Da dove è spuntato?»
«Potrei farti la stessa domanda» rispose senza muoversi dalla sua posizione.
«Non è che potrebbe farmi alzare?»
«Potresti scappare»
«Perché mai dovrei scappare?»
«Questo me lo devi dire tu.»
A quel punto Billy si rese conto che dal punto di vista dell’ispettore trovarlo lì a quell’ora, quando era convinto che fosse a casa a dormire, poteva sembrare un po’ sospetto.
«Aspetti, ci dev’essere un malinteso. Lei pensa che sia qui perchè ho dei contatti con la Banda?»
«L’hai detto tu.»
«No! Sono qui perchè la Banda ha rapito la mia migliore amica e quel ragazzo che ha visto prima è suo fratello»
«Oooh, adesso mi è chiaro»
«Bene, ora mi farebbe alzare?»
Capitolo 9
Amy era legata a una sedia al centro della stanza. Appena lo vide, emise un sospiro di sollievo. Johnny constatò che, a parte per un bernoccolo in fronte, sembrava illesa. Il sollievo però sparì velocemente non appena uno della banda le si avvicinò e le puntò un coltello alla gola, mentre il resto della banda si avvicinava a Johnny.
«Johnny, ti stavamo aspettando»
«Non ne dubitavo»
«Vedo che sei da solo. Come pensi di riprenderti la tua sorellina?»
«Sono qui per proporre uno scambio: io al posto suo.»
«Immaginavamo che lo avresti fatto, ma non accetteremo. Hai ucciso uno della nostra banda e ci devi dei soldi, quindi credo che, per ripagarci, terremo sia te che tua sorella.»
Johnny vide il panico negli occhi di Amy e, a quel punto, cominciò a preoccuparsi seriamente anche lui, finché… Billy e nientemeno che l’ispettore Gray fecero irruzione nella stanza, entrambi armati di pistola, mentre in lontananza si sentirono le sirene della polizia. Erano salvi.«Fermi tutti, vi dichiaro in arresto per traffici illeciti e sequestro di persona. Qualunque cosa direte potrà essere usata contro di voi in tribunale.»
«Io mi costituisco» disse Johnny.
«Prego?»
«Niente» intervenne Billy. «Gli piace scherzare, è sempre stato un burlone»
«Non mi piacciono i burloni. E con queste cose non si scherza! Ora se non vi dispiace vado a portare alla centrale questi delinquenti» disse l’ispettore, uscendo dalla porta.
«Non gli hai detto nulla?»
«Non ne valeva la pena Johnny, non è stata colpa tua. E poi Amy ha bisogno di te. Non ti potevo permettere di distruggerle la vita.»
Classe 2D: Tommaso Vianello, Benedetto Lesma,
Andrea Madella, Leonardo Macchi
Scuola Secondaria di Primo Grado Rodari – Milano
LA FALEGNAMERIA DEI MISTERI
«Ahhh!»
Sofia si mise a correre. Arrivò nelle vicinanze del pozzo, stremata. Gridò con voce stridula e terrorizzata. Era troppo tardi.
La mattina seguente, in fondo a una piccola via, si scorgeva una figura esile, ma slanciata, intorno ai trentacinque anni, con un viso intelligente, occhi celesti, tanto lucenti da poterli distinguere anche nel buio, naso dritto, denti bianchi come le nuvole, capelli neri come la pece, piccole mani e gambe lunghe: il suo nome era Francesco, Francesco Telloli, un investigatore specializzato in omicidi. Era davanti all’edicolante con cui stava discutendo, gli aveva appena chiesto un giornale. In prima pagina c’era la notizia della morte di Sofia Verdi, il quarto omicidio compiuto nel giro di pochigiorni. Quando lesse il luogo del delitto il volto di Francesco assunse un’espressione strana, diventò bianco come quello di un cadavere. Prese il telefono e mandò degli agenti sul posto, la Foresta Nera, dove avevano perso la vita già altri tre impiegati della stessa falegnameria nella quale lavorava Sofia. Fatto ciò, corse alla sua auto e si avviò verso il piccolo paesino dove viveva la vittima per investigare. Lungo la strada notò il gran numero di alberi, molto alti e ombrosi, che rendevano la foresta buia anche di giorno e una grigia e tetra fabbrica con l’insegna storta, quasi del tutto cancellata, su cui si riusciva a stento a leggere La falegnameria. Lì vicino c’era la casa del falegname Giuseppe: una casa di legno con un grande camino da cui fuoriusciva del fumo.
Arrivato al paesino lesse il nome Virgoletta. Il villaggio del pozzo.
Davanti al municipio lo aspettava impaziente il sindaco: era un uomo gentile, massiccio, con una folta barba e qualche capelloqua e là sulla testa. Quando vide Francesco gli andò incontro e gli fece cenno di entrare nel suo ufficio,poi si sedette e iniziò a parlare. Gli disse che, qualche giorno prima, una signora era andata al pozzo per prendere l’acqua e aveva tirato su il cadavere di un’impiegata. Era tornata di corsa urlando, raccontando poi che, oltre ad aver trovato il corpo della ragazza, aveva sentito dei rumori di passitra i cespugli senza, però, vedere anima viva. Alcuni dicono fosse il fantasma del vecchio pescatore della palude che nessuno aveva più visto dopo che si era trasferito in quella zona. Questa notizia aveva terrorizzato gli abitanti e anche lo stesso sindaco che, in quel momento, aveva iniziato a sudare. Francesco lo rassicurò ricordandogli che i fantasmi non esistono. A quelle parole il volto del sindaco ritornò roseo e si asciugò le gocce che avevano bagnato la sua fronte, rendendola lucida. Poco dopo l’investigatore e la sua squadra andarono all’obitorio per visionare i cadaveri: i corpi non presentavano segni di arma da fuoco né quelli di un coltello. Scoprirono alcune fibre di corda intorno ai loro colli. Ciò risultò molto strano perchè normalmente, in questi casi, si vede il segno della corda, ma non si trovano le fibre, il che significa che l’assassino non era molto abile e aveva agito in fretta e in modo poco “pulito.” Dopo queste scoperte Francesco mandò i suoi agenti dai parenti delle vittime, mentre lui andò di persona a parlare con il falegname. Arrivato davanti all’isolata abitazione, bussò senza ottenere risposta. La porta, però, era aperta. Quindi la spalancò lentamente e guardò all’interno. Lungo la parete c’erano numerose foto e un pezzo di giornale ritagliato ed incorniciato che annunciava l’apertura della fabbrica. L’investigatore chiese se si potesse entrare e una voce debole e malinconica rispose di sì. Francesco si fece avanti, il falegname era curvo su una grossa poltrona di fronte al camino. Prima che l’investigatore potesse presentarsi il falegname parlò:
«So chi sei e perchè sei qui.»
«Visto che sai quello che ti sto per chiedere, parla!»
«Non sono stato io!»
«Allora perchè le vittime sono tutte tuoi dipendenti? E perchè gli omicidi sono stati commessi tutti nei pressi della tua fabbrica?» incalzò l’investigatore.
Il falegname si alzò bruscamente e tagliò corto affermando che non sapeva nulla. A quel punto Francesco se ne andò via, pensieroso. Non avendo ottenuto informazioni particolarmente utili, decise che il giorno seguente sarebbe andato con la sua squadra a ispezionare nuovamente la casa del falegname. La mattina presto, radunata tutta la squadra, si diresse verso l’abitazione. Come il giorno prima, Giuseppe era curvo sulla poltrona, con la fronte bagnata di sudore e gli occhi impauriti. Gli agenti andarono in giro per la casa. Inizialmente non trovarono niente, ma un rumore li portò a controllare di nuovo la camera: c’erano i cocci di un vaso a terra, la finestra spalancata e l’armadio semi aperto. Quest’ultimo dettaglio fece sì che due agenti controllassero tutte le tasche delle giacche appese. In una di esse trovarono una corda, che aveva tutta l’aria di essere l’arma del delitto. Perciò il falegname venne portato in caserma dove, dopo diverse sedute di interrogatorio, venne arrestato. Durante questi interrogatori Giuseppe continuava a dire che non era stato lui, negando quella che sembrava a tutti una evidenza. Uno degli agenti gli chiese chi fosse stato. Un attimo prima di rispondere il falegname vide una donna incinta che parlava con altri poliziotti e che gli ricordò la sua ex moglie, che aveva lasciato durante i mesi di gravidanza. Allora rispose che era stata lei. Francesco, incuriosito da questa faccenda, chiese di essere lasciato da solo con Giuseppe in modo da poter avere una discussione più libera e sincera. Il falegname gli spiegò la vicenda:
«Da giovane mi sono sposato con una ragazza e, mentre questa era incinta, mi sono reso conto che avere un figlio sarebbe stato molto impegnativo e avrebbe potuto rovinare l’impresa appena aperta. Per questo motivo ho deciso di divorziare e sposarmi con un’altra donna. Quest’ultima, però, è venuta a mancare. Quindi io sostengo che lei si voglia vendicare del torto subito incastrandomi, in modo da togliermi la cosa a cui tengo di più.»
Francesco gli chiese chi fosse la donna da cui aveva divorziato e lui rispose che il suo nome era Giulia. L’investigatore lo riferì agli agenti e, raccolte le informazioni, annunciò che voleva andare di persona a parlare con Giulia. E così fece.
Arrivò nella piccola e umile abitazione dove la trovò indaffarata nel pulire la casa. Notò anche una foto di lei con un ragazzo. Appena vide l’investigatore, Giulia si spaventò e gli domandò cosa ci facesse lì. Francesco si presentò e poi chiese di parlargli un po’ del suo rapporto con l’ex marito e della sua vita dopo il divorzio. Giulia raccontò che, dopo il divorzio, lei era andata a vivere lontano e non si era più sposata. Il figlio alla fine era nato, gli aveva dato il nome di Andrea e il ragazzo era cresciuto odiando il padre per il suo egoismo. Compiuti i diciott’anni, Andrea se ne era andato di casa per cercare un lavoro dignitoso in città e lei non aveva più avuto sue notizie. Subito Francesco chiese incuriosito come fosse questo ragazzo. La donna raccontò che Andrea era un ragazzo giovane, furbo, molto silenzioso e sensibile, con un viso innocente. L’investigatore prese nota di tutto e chiese se fosse a conoscenza degli omicidi che erano accaduti lì vicino nei giorni precedenti. La donna balzò in piedi pallida e con poca voce rispose di non saperne niente. La risposta di Giulia non convinse del tutto Francesco che se ne andò pensieroso e sospettoso. Salito in macchina diede un ultimo sguardo alla donna e poi partì. Mentre tornava verso il commissariato, ripensò alla reazione della donna alla sua domanda: possibile che una signora anziana potesse essere così spietata nella sua vendetta? Tornato alla stazione di polizia si mise subito a fare ricerche sulla donna e sui corpi, consultò varie volte il falegname per fargli delle domande sull’ex moglie. Quello che ottenne non era comunque abbastanza per essere sicuri che fosse veramente stata lei e arrestare un’innocente avrebbe rovinato la sua carriera di investigatore. Una sera, dopo una faticosa giornata di ricerche, gli si presentò Giacomo, un agente che si era dimesso qualche giorno prima per motivi familiari, che gli chiese di parlare immediatamente. Entrati nell’ufficio personale di Francesco, l’agente cominciò a confessare:
«Ho commesso un terribile sbaglio, mi sono lasciato convincere per uno stupido mucchietto di soldi!»
Francesco non capiva:
«Di cosa stai parlando? Chi ti ha convinto con dei soldi?»
Giacomo rispose: «Lui era venuto da me e mi aveva proposto di passargli tutte le informazioni che avevo. Io l’ho aiutato! Ho aiutato l’assassino senza che rendermene conto! E la storia dei motivi familiari non è vera, mi sono dimesso per vivere una vita tranquilla con i soldi che lui mi aveva dato…»
«Sì, ma chi è lui, chi è l’assassino?»
«Il nome dell’assassino è…»
In quell’istante si sentì uno sparo, la finestra si ruppe e Giacomo cadde a terra ferito. Francesco, sconvolto, guardò fuori dalla finestra e vide una figura correre in mezzo al bosco. Poche ore dopo arrivò la notizia che Giacomo non ce l’aveva fatta. Dunque Giulia era innocente e la pista che avevano seguito era completamente sbagliata. A quel punto il falegname venne scagionato. Il giorno seguente Giuseppe decise di andare al lavoro, ma Francesco, che non si fidava a lasciarlo da solo, decise di accompagnarlo e stare con lui, così da tenerlo d’occhio. Nel tardo pomeriggio, mentre il falegname stava entrando nella sua stanza privata, un ragazzo chiese a Francesco di poter vedere e parlare con Giuseppe. L’investigatore disse al ragazzo che il falegname era occupato, che era meglio non disturbarlo e quindi di riferire i problemi a lui. Il ragazzo si presentò e disse che era nuovo, che voleva presentarsi al falegname per chiedere un lavoro. Mentre gli stava raccontando di sè, lo sguardo di Francesco cadde sul giubbotto e subito notò che era lo stesso che avevano trovato nell’armadio del falegname. Impallidì e iniziò a sudare perchè davanti a lui si trovava l’assassino! L’espressione di Francesco non sfuggì al ragazzo che gli chiese se stesse bene.
«Non sono più abituato all’aria della falegnameria e all’odore della segatura» disse Francesco «meglio se prendo un po’ d’aria.»
Uscito, iniziò a pensare a tutto quello che era successo, a collegare e a spiegarsi le cose comeil vaso rotto, il ritrovamento della corda proprio in quella giacca che aveva addosso il ragazzo in quel momento, la foto vista nella casa di Giulia in cui c’era lo stesso ragazzo.
“Quindi era il figlio del falegname che voleva vendicarsi uccidendo quelli che avrebbero poi ereditato la fabbrica e i soldi del padre per assicurarsi la sua eredità!” pensò. Quella sera escogitò un piano: lui e la sua squadra sarebbero tornati alla fabbrica per tendere un agguato all’assassino. Così la mattina seguente, quando Andrea arrivò alla falegnameria per il colloquio con Giuseppe, trovò Francesco che gli disse:
«Ciao Andrea! Vedo che sei abile con la corda.»
Andrea iniziò a sudare freddo.
«Eh, adesso dovrei andare a lavorare» disse indietreggiando. Appena uscito dalla stanza si mise a correre e tutti gli agenti lo inseguirono. Sembrava quasi fatta: Andrea si era chiuso in una stanzetta della falegnameria, ma quando gli agenti riuscirono ad aprirla non trovarono nessuno, solo una finestra aperta. Gli agenti si fiondarono fuori dalla fabbrica e iniziarono a sparare a vuoto, vista l’oscurità del bosco. Andrea era scappato. Da quel giorno non ci furono più omicidi a Virgoletta.
L’assassino non si vide più, la falegnameria tornò a prosperare e Francesco riprese la sua vita tranquilla e riservata, pronto per altri casi da risolvere.
Classe 2A: Marta Mariano, Edoardo Mastropietro,
Diana Zhang, Liao Rui Qi, Leo Hu
Scuola Secondaria di Primo Grado Scialoia – Milano
OMICIDIO SOTTOZERO
CAPITOLO 1
L’omicidio della professoressa Benson
Mancano cinque minuti alla fine della lezione.
Il cinguettio degli uccellini viene improvvisamente sovrastato da un suono più assordante.
«Hans!» esclamo, svegliando il mio migliore amico seduto al banco accanto a me.
«Mmmh?» mugugna in segno di risposta.
«Lo senti?» chiedo.
«Cosa?» risponde ancora assonnato.
Mi sporgo verso la finestra e noto che il suono proveniente da fuori è provocato dalle sirene della polizia, seguite da quelle di un’ambulanza.
Al suono della campanella mi precipito all’entrata, ma vengo fermato da un nastro giallo con scritto NO TRESPASSING B.C.P.D. Oltre al nastro, passa davanti a me una barella spinta da due uomini in camice bianco. Sulla barella intravedo una mano femminile pallida, nella quale l’unico colore era dato da un braccialetto ricoperto di piccole pietre.
«Ethan che succede?» chiede Hans dietro di me, facendomi sobbalzare.
«A quanto pare la professoressa Benson è morta» gli rispondo esitante.
«Come?! Come fai a dire che è la Benson quella là? La vittima è completamente ricoperta da un telo bianco…» poi si blocca quando scorge che cosa gli stavo indicando. «Ma è il suo braccialetto!»
«Ma va?» rispondo con tono evidente.
«Scusa eh» ribatte roteando gli occhi. Continua a fissare il cadavere mentre lo portano via.
«Booo!» urla qualcuno alle mie spalle. Sobbalzo ancora, ma questa volta vado a sbattere contro il muro. «Prima o poi mi farete venire un infarto voi due» dico ai miei migliori amici.
«Stai esagerando adesso» mi rimprovera Mary, la mia assalitrice.
Si gira verso l’entrata e, dopo aver notato i nastri, si volta verso di me chiedendomi implorante «Riassuntino?»
Dopo aver spiegato l’accaduto, mi accorgo che Mary non sembra per niente sorpresa.
«Quindi?» la incito.
«Cosa?» mi risponde con lo sguardo perso nel vuoto.
«Non hai niente da dire?» continuo.
Lei mi fissa e nei suoi occhi scuri intravedo un luccichio mai visto prima.
«Non starai pensando di…» inizia ad allarmarsi Hans.
«Investighiamo!» afferma euforica Mary.
CAPITOLO 2
Si inizia a investigare!
Neanche il tempo di uscire da scuola che vengo preso in disparte da Mary, affiancata da Hans. «Cos’ è tutta questa fretta?» chiedo.
«Dobbiamo decidere quando iniziare a investigare» risponde la ragazza.
«Dobbiamo?» ripete Hans. «Non ricordo di aver accettato di far parte di questa pazzia»
Mary lo ignora e continua a guardarmi aspettando una risposta.
«Che ne dite di domani mattina?» chiedo incerto.
«Perfetto» esclama Mary e corre via tirando Hans con sè, senza neanche salutare. Gentile.
Il giorno dopo, all’ingresso della scuola, Hans e Mary mi aspettano ansiosi, soprattutto Hans. Mary è quella più eccitata.
«Per prima cosa dobbiamo interrogare i sospettati…» inizia la mia amica.
«E chi sarebbero?» chiede Hans.
«Le persone che sono state in presenza della Prof.ssa Benson prima della sua morte: la bidella, il barista della scuola. E bisogna anche esaminare l’aula di chimica. Mi sembra ovvio» risponde la mia amica. Non so come faccia ad avere tutte queste informazioni, ma con Mary è sempre meglio non fare domande.
«A me va bene tutto» intervengo io «ma il problema è che molto probabilmente ci metteranno in punizione perchè ci beccheranno a saltare le lezioni per chiacchierare con qualcuno. Questo pensiero non ti ha mai sfiorato la mente?» chiedo.
Mary alza gli occhi al cielo: «Sempre il solito pessimista tu. E poi noi non chiacchieriamo, noi aiutiamo a fare giustizia!» aggiunge poi sottovoce.
«Sì sì certo, prima finiamo meglio è» ribatto.
Poi prendo una per il braccio e l’altro per la manica e li trascino dentro scuola, anche se controvoglia.
CAPITOLO 3
I primi sospettati
Abbiamo deciso di iniziare a chiedere informazioni alla bidella Maggie, o meglio, Mary ha deciso. «Belli miei!» esclama Maggie. «Cosa ci fate qui in corridoio? Non dovreste essere in classe in questo momento?» chiede con il suo sorriso sempre stampato in faccia.
«Salve signora Maggie,» saluto «potremmo farle delle domande ehm… » ma poi mi blocco. Avrei dovuto farle sapere che stavamo investigando sulla morte della prof Benson? Guardo Hans che sembra porsi la mia stessa domanda.
«Signora Maggie, lei per caso sa dov’era la prof Benson alle 11.00 esatte di ieri mattina?» chiede prontamente Mary.
Tutti la fissiamo per dei secondi che sembrano un’eternità, ma non faccio a meno di notare che la solare bidella ha perso il suo sorriso per un attimo.
Si riprende subito e ricomincia a parlare sorridendo.
«Oh, Rachel intendi? L’ultima volta che l’ho vista è stata quando è entrata nella classe di chimica dopo essere andata al bar della scuola, sapete proprio nella stanza in cui è morta… » ci informa con gli occhi pieni di tristezza. «Come mai volete saperlo, ragazzi?» chiede curiosa.
«No, niente…» rispondiamo tutti in coro.
«Solo curiosità» aggiunge Hans.
Porto la mia mano destra sulla fronte e scocco un’occhiataccia a Hans. Chi diavolo chiederebbe per curiosità dov’è stata una persona in un preciso orario? E per di più una persona morta da un giorno. Fortunatamente sembra che Maggie non se ne sia accorta e la salutiamo prima di apparire sospetti. Decidiamo di andare a chiedere qualcosa al barista della scuola e subito dopo di andare a perquisire la stanza di chimica.
«Peter!» saluta Hans appena vede il barista.
«Che bella sorpresa!» ci accoglie Peter.
Noto che il vecchio barista non si è accorto che stiamo gironzolando per i corridoi durante l’orario scolastico. Meglio così.
«Cosa posso fare per voi, ragazzi?» ci chiede, anche lui raggiante.
«Lo so che può sembrare un po’ strano» inizia Hans «ma potremmo sapere cosa è successo ieri mattina quando la Benson era ancora viva?» chiede. «Sai, stiamo investigando e vorremmo raccogliere più informazioni possibili» dice.
Io e Mary lo guardiamo a bocca aperta. Va bene che potevamo avere rapporti abbastanza stretti, ma rivelargli tutto anche no. Probabilmente ora si accorgerà pure che, in questo momento, ci dovremmo trovare in classe.
«Capisco» risponde invece Peter.
«Be’, Rachel era venuta qui a prendere il suo solito tè con ghiaccio. Però questa volta era venuta con un suo collega, penso fosse l’insegnante di geografia, il professor Wilson» racconta il barista.
«Adesso che mi ricordo avevano preso tutti e due lo stesso drink, abbiamo chiacchierato come tre ragazzini.» Inizia a ridere e io comincio a sentirmi a disagio. «Wilson è dovuto uscire prima per un’urgenza, ha bevuto il drink così veloce che ha rischiato di rovesciarlo!» si mette a ridere di nuovo e questa volta mi sento davvero a disagio. «Rachel è rimasta ancora per un quarto d’ora circa e poi se ne è andata pure lei, lasciandomi solo soletto» dice Peter con una finta smorfia di dolore che fa ridere Hans.
«Be’ Peter, ora dobbiamo proprio andare. Grazie mille per il tuo aiuto!» lo saluta Mary.
«Direi che non abbiamo trovato niente» dice Hans appena ci siamo allontanati abbastanza. Mary annuisce distratta mentre io, senza neanche sapere perchè, non la penso per niente così.
CAPITOLO 4
L’arresto
Arrivati davanti alla porta della stanza dove era accaduto l’omicidio sgattaioliamo dentro senza farci vedere e iniziamo ad esaminare ogni singolo oggetto e angolo della stanza.
Niente. Niente di niente.
«Non c’è nulla qui» ci avverte Mary.
«Neanche qui» dice di rimando Hans.
«E nemmeno qui» concludo io.
Possibile che l’assassino sia stato così bravo da non lasciare nessuna traccia?
«Ragazzi ascoltate!» esclama Mary.
Sento delle voci fuori in corridoio e decido di dare una sbirciatina. L’unica cosa che riesco a scorgere è la signora Maggie con delle manette legate ai polsi. Non ci posso credere.
«Stanno arrestando la signora Maggie!» dico ai miei amici che subito si allarmano.
Ci precipitiamo tutti fuori dalla stanza, raggiungiamo la bidella e i poliziotti di fianco a lei.
«Signora Maggie lei è in arresto per l’omicidio di Rachel Benson.»
Mi rifiuto di crederci.
«Ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei in tribunale.» dice il poliziotto più alto.
«Signore ci deve essere un errore!» intervengo io. «È impossibile che sia stata lei a fare una cosa simile!»
«Non c’è nessun errore ragazzino.» mi zittisce un poliziotto paffutello. «Le prove portano tutte a lei. Questa signora, oltre alla vittima, è l’unica a possedere le chiavi per accedere alla stanza da cui siete appena sgattaiolati fuori» spiega. «La vittima è stata strangolata e poi la porta è stata chiusa a chiave.»
Guardo Maggie che mi sorride comprensiva, anche se i suoi occhi sono pieni di tristezza. I poliziotti la portano via, ma non si accorgono che ha fatto cadere per terra un bigliettino. Appena lo apro, sento un tuffo al cuore.
CAPITOLO 5
Basta ripetere
Basta ripetere. Ecco cosa c’era scritto. Non ero riuscito a dormire la notte per colpa di quello stupido biglietto. Io e gli altri avevamo capito subito che si trattava di un anagramma perchè la bidella li adorava. Ma perchè me lo aveva lasciato? Voleva che lo risolvessi? Credo di sì. O no? Le stesse domande mi continuano a frullare in testa e non presto attenzione a nessuna delle lezioni. E infine mi viene in mente una strana domanda: e se la Benson non fosse stata strangolata con le mani? Da quel che ho saputo da Mary, il cadavere della vittima non riportava nessun segno al collo. Ma allora come era stata uccisa? Dopo scuola torno a casa e, dopo aver pranzato, mi metto in camera mia a riflettere sull’anagramma. Purtroppo vengo interrotto dalla mia sorellina rompiscatole:
«Fratellone, fratellone! Ti posso fare un indovinello?
«No» rispondo secco.
«Daii» mi dice Suzie con occhi imploranti.
«E va bene, ma muoviti che sono impegnato» rispondo annoiato.
«Okay. Allora, due amiche vanno in un bar» inizia lei «e prendono lo stesso drink con ghiaccio. Una beve velocemente, mentre l’altra beve tutto con calma» dice. Questa situazione mi sembra abbastanza familiare… «Però, la ragazza che ha bevuto lentamente muore. L’altra invece resta in vita. La polizia viene e scopre che il ghiaccio nei drink era avvelenato. Come è possibile che solo una muore se hanno bevuto lo stesso drink?» chiede la mia sorellina.
«Ehm, non lo so, dimmelo tu.»
«Quanto sei stupido, fratellone» mi insulta «È facile. Visto che la prima ragazza ha bevuto velocemente il drink, il ghiaccio con il veleno non ha fatto in tempo a sciogliersi nel tè. L’altra ragazza invece è stata a gustarselo per più tempo, il ghiaccio si è sciolto e il veleno ha fatto effetto!» conclude Suzie.
Faccio cenno a mia sorella di andarsene e rimango in stanza da solo. Fisso il biglietto. E poi… lampo di genio.
CAPITOLO 6
Il colpevole
Lei lo sapeva! Maggie lo sapeva! La persona ad aver ucciso Rachel Benson è stata Peter!
«Basta ripetere» è l’anagramma di «E barista Peter.»
Devo dire che, per la prima volta, mia sorella è stata davvero utile. Corro verso scuola per farmi dare delle spiegazioni da Peter. Scrivo sulla chat di gruppo tra me, Hans e Mary tutto quello che ho scoperto.
Arriviamo subito scrive Mary. Quando arrivo davanti a scuola fortunatamente è ancora aperta. Entro e vado a cercare il vecchio barista. Lo trovo al suo solito posto di lavoro e, quando si accorge della mia presenza, esclama sorridente «Ethan! Cosa ci fai qui? Guarda che le lezioni sono già finite da un bel pezzo.» La sua voce inizia a darmi fastidio.
«Perché hai ucciso la Benson?!» gli urlo contro. «Hai pure incastrato Maggie, come hai potuto?!» continuo.
Lui spalanca gli occhi sorpreso. Un ghigno gli si delinea sul volto, non cerca neanche di nasconderlo.
«Quella ragazza non pagava mai!» mi urla contro Peter. «Aveva ormai troppi debiti con me, non potevo fare altrimenti»aggiunge.
Sento una presenza dietro di me. Sorrido, ma cerco di nasconderlo.
«Quindi sei stato tu a uccidere Rachel Benson?» chiedo con tono deciso.«Sì, sono stato io. Ora cosa farai? Lo andrai a dire alla polizia? Certo, come se la tua parola contasse più della mia»sogghigna.
«Ne sei certo?» dice una voce alle mie spalle. È Mary. Affiancata, come sempre, da Hans. Tira fuori il suo cellulare e fa partire la registrazione dove Peter confessa il suo orribile crimine.
«Voi piccoli…» inizia l’anziano assassino cercando di prenderci.
Io, Hans e Mary iniziamo a correre e usciamo fuori scuola. Svoltiamo in un angolo e ci dirigiamo verso la stazione di polizia dove è stata portata Maggie. Entriamo di colpo seguiti da Peter. Che velocità per un vecchietto come lui! Con la voce che mi resta urlo per ricevere l’attenzione di tutti.«Scusate avremmo qualcosa da dire!»
EPILOGO
Tutta colpa della Benson
Be’, che dire. Alla fine abbiamo davvero fatto giustizia. Peter è stato arrestato. Maggie è stata scagionata. Diciamo che sono tutti contenti. Tutti tranne me. Sono stato così impegnato a fare il detective che mi sono dimenticato che domani c’è l’interrogazione di storia… Il 4 che prenderò almeno sarà per una buona causa.
Vabbè, tutta colpa della Benson.