- Trama
- Incipit
(età 11+)
Milano 1946. La Seconda guerra mondiale è finita da un anno, e si potrebbe pensare che tutti ne abbiano avuto abbastanza di morte. Invece no. Per qualcuno uccidere è un lavoro e quello di gioielliere una passione. O viceversa. Comunque qualcosa in grado di attirare ricche signore prima di farle seppellire dai propri mariti. O, viceversa, perché quando c’è da ingannare e assassinare il nostro uomo non fa distinzioni di sesso. È anonimo, opaco, invisibile: tutto il contrario di un bel gioiello o di una promessa d’amore. Come la città che lo ospita, anche il suo nome è avvolto da una cortina di nebbia, tanto che non se lo ricorda nessuno. Tutti lo conoscono come il gioielliere della Maggiolina. Ed è in quest’uomo, tanto grigio quanto ambizioso, che incappano una madre e il figlio di dodici anni. Hanno perso il marito e il padre, hanno ancora una casa e una sartoria da mandare avanti, tante ragazze che contano su quello stipendio. Madre e figlio vorrebbero solo vivere tranquilli, magari passare una bella serata alla Scala, ricostruita in fretta e furia per dare un segnale di speranza ai milanesi che hanno sofferto tanto: la fame, la paura, le bombe. Qualcuno, invece, ha altri piani. Piani per mettere le mani sull’attività, sulla casa, su quelle ragazze ingenue e piene di sogni. Piani brillanti come un fiore di diamante e pericolosi come una stilla di veleno…
Quella primavera Irene pensò che fosse arrivato il momento di smetterla. Era passato un anno dalla morte di suo marito. Un anno in cui aveva dimenticato persino che al mondo esistessero altri colori. Ma a Milano la primavera ha un modo tutto suo di annunciarsi. Un giorno è grigio e umido, come al solito. Nebbia che si taglia a fette, freddo che penetra fin nel midollo, buio alle quattro del pomeriggio. Sirene di fabbriche o, come negli ultimi anni, sirene di allarmi antiaerei. Il giorno dopo, senza preavviso, la primavera arriva. E basta, di colpo l’inverno è finito. Fine dei discorsi sul rincaro di questo o quello. Fine delle corse per prendere il tram e non dover restare in strada ad aspettare battendo i piedi. Fine dei ragazzi con le ginocchia viola sotto i pantaloni corti o le gonne di lana. Via i cappotti, le pellicce, i berretti che prudono, le scarpe con la suola spessa. La città si calca con decisione in testa un cappellino verde e smette di avere la faccia lunga. Non ci si può vestire di nero, a marzo, a Milano.
Irene sorrise a quel pensiero e la cosa non sfuggì al ragazzino che le sedeva di fronte.