La vendetta del bosco di Teo Benedetti è il libro scelto dai ragazzi e dalle ragazze dell’Istituto Comprensivo Giovanni Paolo II di Policoro – Matera.
Dopo l’incontro con l’autore e il laboratorio di scrittura i ragazzi e le ragazze hanno preparato la loro riscrittura del finale del romanzo.
Questo è il lavoro selezionato:
Ginevra Putignano – Classe 2A
I rami continuavano a spuntare ai lati tentando di afferrarli o li sferzavano con colpi simili a frustate. Pietro diede un’occhiata ad Arianna per controllare se stesse bene o se fosse ancora troppo spaventata per riuscire a correre. Arianna aveva gli occhi sbarrati, ma non dal terrore. Sul suo volto si era stampata una strana espressione, quasi una smorfia, un misto tra la sorpresa e il disgusto. Veloce più di un fulmine, fu lei ad afferrare la mano di suo fratello e la tirò con tutta la forza che aveva in corpo.
« Corri, Pietro! Corri!»
Arianna pronunciò solo tre parole prima di percorrere la stradina ripida e buia trascinando con sé suo fratello.
«Hai visto anche tu?» chiese Pietro con la voce soffocata dalla fatica e dalla paura.
«Sì» rispose Arianna, e poi aggiunse «ora la situazione è chiara».
Appena si sentirono fuori pericolo Pietro e Arianna cercarono un luogo sicuro per fermarsi a ragionare su tutto ciò che avevano visto e sentito. La voce terrificante del Guardiano, le presenze malefiche all’interno del bosco, i sussurri, i bagliori, gli eventi inspiegabili…tutto era collegato…tutto riconduceva a un solo nome: ENRICO.
Entrambi avevano notato le strane occhiate tra Enrico e sua moglie Caterina, la quale a un certo punto aveva pronunciato queste parole a voce bassa: « Mostra cosa significa essere un Capo, e se non vorranno capire faranno la fine dell’uomo con il codino».
Né Pietro né Arianna riuscivano a spiegarsi il significato di quelle parole oscure, ma una cosa era certa: Enrico non era chi diceva di essere. La sua era una doppia identità, e così Caterina che probabilmente era sua complice, colpevole quanto lui nell’aver messo in scena tutta la storia delle apparizioni e degli eventi terrificanti all’interno del bosco. Ma le altre allora? Cosa sapevano loro realmente? Complici o vittime, come la povera Marta che aveva trascinato i suoi figli in quella che doveva essere un’esperienza educativa indimenticabile?
Pietro e Arianna ripercorsero con la memoria tutti gli eventi spaventosi a cui avevano assistito oppure che avevano ascoltato dai racconti di Elena e Rebecca. Ogni volta che qualcosa di terribile era accaduto nel bosco, Enrico si trovava altrove…forse era proprio lui il regista di quegli spettacoli terrificanti. Ogni volta che le vittime avevano chiesto il suo aiuto, Enrico con aria misteriosa aveva lasciato intendere che il bosco nascondeva dei segreti orribili, e per questo non era un luogo sicuro per gli esseri umani. Anzi aveva quasi incoraggiato il gruppo ad allontanarsi e a rinunciare all’iniziativa di ripulire il bosco dai rifiuti.
All’improvviso Pietro e Arianna furono percorsi da un brivido: «Mamma è rimasta sola!» esclamarono con sgomento, e si sentirono in colpa per essere corsi via da soli, come due egoisti fifoni. «E adesso? Dobbiamo tornare per aiutarla a fuggire. Poi le spiegheremo quello che abbiamo capito e chi è Enrico veramente. Mamma si fidava tanto di lui, ma lo facevano tutti! Se papà fosse stato qui, tutto questo non sarebbe successo» ammise Pietro con tristezza.
«Non dire sciocchezze! Enrico ha recitato bene la sua parte, avrebbe ingannato anche papà. E comunque papà sarebbe stato qui se non avesse perso l’aereo a Berlino» gli rispose Arianna inviperita.
Un improvviso rumore tra i rami fece raggelare Pietro e Arianna. I due saltarono in piedi pronti a riprendere la corsa, invece, alle loro spalle udirono una voce amica che li rassicurava, era quella di Marta. «Ragazzi, vi ho raggiunto appena ho capito! Bravi, siete stati più abili di me! Anche voi avete scoperto che Enrico è il vero responsabile di questa spaventosa avventura. Vi chiedo di perdonarmi. Vi ho fatto correre dei rischi molto gravi, ma le mie intenzioni erano buone. Mi avevano parlato di queste iniziative di volontariato e io ci tenevo tanto ad avvicinarvi ai problemi legati alla natura, al rispetto per l’ambiente…e invece eccoci qua…».
Pietro e Arianna corsero ad abbracciare la mamma e le dissero che lei non aveva colpe. Era stata la disonestà di Enrico e di sua moglie Caterina a trascinarli in quel grosso guaio.
«Ora cerchiamo una via d’uscita dal bosco, con me ho la bussola che mi ha regalato il nonno, ci aiuterà a raggiungere il parcheggio dove abbiamo lasciato l’auto. Da lì proveremo a chiedere aiuto» disse Pietro con voce rassicurante.
A metà strada Marta e i suoi figli furono raggiunti da Elena e Rebecca, le quali erano riuscite a fuggire prima che Enrico cominciasse ad accendere le prime fiamme. A fatica raggiunsero le loro auto e a grande velocità partirono senza voltarsi a guardare il cielo sopra al bosco che si tingeva di rosso. Al primo posto di polizia, tutti scesero ad avvertire del grande incendio che si sarebbe propagato nel bosco nel giro di pochi minuti, se nessuno fosse intervenuto in tempo per spegnerlo.
Il gruppo si sentì sollevato per aver dato l’allarme, ora era compito degli esperti risolvere la situazione. Seduta in sala d’attesa insieme agli altri, Arianna rigirava nervosamente lo smartphone tra le dita, finché non le venne in mente di mostrare a un agente quell’unica foto che aveva scattato a Enrico di nascosto. Dopo qualche minuto la risposta arrivò: si trattava di Enrico Albertini, famoso trafficante di rifiuti tossici, conosciuto nel mondo della criminalità con il nome “il Capo”.
A notte fonda ogni cosa era stata risolta con successo: l’incendio era stato completamente spento, i responsabili erano stati arrestati, i rifiuti tossici erano stati isolati, e soprattutto nessuno si era fatto male. Effettivamente, le intenzioni di Enrico non erano quelle di dare fuoco al bosco, ma di spaventare i volontari per mezzo di piccoli incendi controllati da lui e da sua moglie, per tenerli lontani da quel bosco che custodiva il più terribile dei segreti: i rifiuti tossici. Era solo quello il motivo che lo aveva spinto a fondare il gruppo di volontari per la salute dell’ambiente: partecipando attivamente alle iniziative, Enrico non solo si assicurava di controllare personalmente i luoghi in cui i rifiuti erano sepolti, ma in attesa di riceverne altri, aveva organizzato un vero e proprio spettacolo horror. Disseminando il bosco di microfoni, telecamere, luci ed effetti special, continuava a spaventare i visitatori facendo loro credere che il bosco fosse un luogo inospitale e pericoloso.
A distanza di un mese da quella brutta disavventura vissuta da Pietro e Arianna, all’ingresso del bosco fu posto un cartello :“Entrate in punta di piedi e agite con rispetto”. Il suo messaggio di benvenuto racchiudeva la sintesi di quella terribile esperienza affinché non si ripetesse mai più. Certo, qualche albero bruciato sarebbe rimasto sul confine tra la strada e il bosco a ricordare ai futuri visitatori che la natura è viva e che gli errori si pagano.