Dalla lettura di Due hotel e un delitto di Erika Torre è iniziato il percorso che ha portato i ragazzi e le ragazze della scuola media Confalonieri di Milano a scrivere il loro racconto giallo.
Sono stati tutti bravissimi, ma alcuni di loro meritano di essere segnalati.
Occhio al gatto
di Margherita Biancardi, Leonardo Crepaldi, Amr Ahmed Attia El Sayed, Simone Maiani, Olimpia Razafisolo – 2D
Sulla prima pagina del giornale c’era scritto: “Clamoroso furto d’oro alla Banca di Londra. La polizia brancola nel buio”.
Henry Handerson chiuse con uno scatto d’ira il Times. Gli occhi grigi mandavano lampi di rabbia, nemmeno lui, il migliore detective di Londra, era riuscito a scoprire chi avesse commesso il furto. Il gatto sulle sue ginocchia faceva le fusa, si trattava di un gatto nero con gli occhi di un azzurro freddo e glaciale a cui era stato dato il nome di Ice. Era diventata una tradizione, ogni volta che il detective Henry Handerson era pensoso e preoccupato per un caso, Ice gli si acciambellava sulle gambe. Il gatto non era mai piaciuto al fedele aiutante del detective, Berry Harrington, che in quel momento scrutava con fastidio la bestiola. Berry era un tipo stravagante ed era per questo che era piaciuto subito ad Handerson. Pensava in una maniera fuori dagli schemi, e lo si notava anche dal suo abbigliamento inconsueto, in particolare dal suo panciotto multicolore. Inoltre, era cieco come una talpa e portava sempre gli occhiali calcati sul naso, ma la sua vera passione erano le penne stilografiche che spuntavano numerose dal taschino della giacca.
La tensione nella stanza era palpabile e così, pensando a quanto facesse piacere all’amico giocare a carte, Berry gli si avvicinò e con la sua vocetta un po’ stridula gli disse: “Caro mio, che ne diresti di snebbiarci la mente con un paio di partite all’ “Uomo spennato”, a Black Friars?”. Lo sguardo dell’investigatore si illuminò e, dopo aver posato delicatamente Ice a terra, si sollevò dalla poltrona.
Era un uomo molto alto che amava il colore nero come i suoi capelli corvini che gli ricadevano sul maglione grigio fumo. Con gesti rapidi indossò il suo inseparabile impermeabile scuro e, controllando l’ora sul suo pregiato orologio da taschino, esclamò raggiante: “Forza, che aspettiamo?”, quindi, preso Berry sottobraccio, uscì nell’aria fresca della sera sbattendosi la porta alle spalle.
Il tempo passò veloce tra i tavoli da gioco del locale affollato e fumoso, e quando uscirono il Big Ben batteva le due di notte. I due amici si divisero dopo essersi dati appuntamento per la mattina seguente. Un urlo squarciò il silenzio della notte.
“Cosa è successo, Berry?” gridò il detective mentre ritornava sui suoi passi. Ma la risposta lo rassicurò: “Stai tranquillo, ho urlato perché la mia penna migliore è caduta nel tombino.”
Poche ore dopo Berry risvegliò l’amico agitandogli il giornale in faccia: “Incredibile, alle prime luci dell’alba è stato rapinato Mister Posh. Il noto gioielliere aveva appena acquistato il favoloso Diamante Rosa del Kazakistan, del valore di 20 milioni di sterline.” L’aiutante, con voce un po’ rauca, leggeva tutto d’un fiato la notizia, accarezzando distrattamente Ice. Il detective ascoltava incredulo, osservando la scena, e un improvviso dubbio gli attraversò la mente. Scompigliandosi i capelli, guardò intensamente Berry con i suoi occhi d’acciaio e gli disse: “Se non mi inganno, non resta che un ultimo colpo milionario. Un ricco industriale americano ha appena depositato una fortuna in dollari presso la Banca di Scozia. I ladri colpiranno sicuramente lì. Fatti una bella dormita perché stasera faremo la guardia nel caveau della Banca.”
“Va bene, ma tu che farai fino a stasera?” gli domandò con curiosità Berry. “Io mi farò una passeggiata ad Hyde Park per schiarirmi la mente. Ho bisogno di aria fresca.” concluse tra sé e sé l’investigatore.
Dopo che fu uscito anche l’ultimo impiegato, due ombre penetrarono nei locali della banca in assoluto silenzio. Handerson sapeva forzare ogni tipo di serratura ed entrare nel caveau fu un gioco da ragazzi. Dentro l’aria sapeva di chiuso e tutto era immerso nel buio, ma si intravedevano lungo le pareti dei ripiani zeppi di pacchi di banconote disposti in file ordinate.
All’improvviso il detective sentì qualcosa di freddo e liscio sulla nuca. “Mani in alto e voltati lentamente” gli intimò una voce profonda alle sue spalle. “Aspettavo questo momento da tempo, questo è il giorno in cui trionferò sull’unico uomo in grado di battermi. Oggi la mia vittoria è completa, perché in una sola volta uscirò da questa banca senza nemici e ricco come non mai”.
Una luce fioca illuminò il locale e il detective si ritrovò circondato dalla banda dei rapinatori che si erano introdotti dopo di loro nel caveau. Handerson si girò piano su se stesso e guardò Berry che si sfilava la maschera, rivelando il volto butterato di Millefacce, il criminale più ricercato di Inghilterra. “Oh, è stato così facile fingermi il tuo aiutante, dopo averlo rapito fuori dal Black Friars. Ora posso finalmente ucciderti in questa buia stanza.”
Ma invece di mostrarsi terrorizzato, Henry Handerson sorrise fino a scoppiare a ridergli in faccia. “Povero Millefacce, mai sottovalutare il proprio avversario. Ti ho preparato una bella sorpresa: pensavi davvero di farla franca? Mi spiace deluderti, ma ti sei tradito.” E a quelle parole numerosi poliziotti spuntarono da dietro le banconote con le pistole spianate. Mentre i suoi complici venivano arrestati, con un grido che sembrava più bestiale che umano, Millefacce urlò: “Come? Come hai fatto, maledetto?!”. “Quando a casa mia mi hai letto la notizia, hai commesso un grande errore: hai accarezzato Ice. Il vero Berry non lo avrebbe mai fatto” gli spiegò l’investigatore.
“Dannazione, ma tu non troverai la refurtiva e soprattutto il tuo aiutante!” gli disse con odio il criminale. “È qui che ti sbagli. Nella mia passeggiata ho ripercorso i nostri passi fino al tombino e là ho notato delle tracce di inchiostro che mi hanno condotto al luogo in cui avevi nascosto il mio amico. Berry ha utilizzato brillantemente l’unico strumento che aveva: le sue amate stilografiche. Ho rassicurato Berry dicendogli che sarei tornato a salvarlo. Poi sono corso a Scotland Yard e ho organizzato la trappola”.
Sotto lo sguardo attento di Ice, i due amici leggono con soddisfazione il Times: “Acciuffato Millefacce, la mente dietro ai furti. La polizia ha trovato la refurtiva nella cantina segreta sotto la sala d’azzardo l’Uomo spennato. Il detective Handerson ha risolto un altro caso”.
Doppio tradimento
di Sofia Becchi, Greta Caglioni, Denis Vankov – 2G

Era una fredda mattina d’inverno e, come tutte le mattine, stavo andando al Wirde per ritirare la brioches che avrei mangiato all’intervallo della terza ora. Prima però sarei dovuto andare a salutare mio padre nel suo studio oculistico, il che non mi sarebbe costato molto tempo poiché il Wirde è proprio lì di fronte. Salutai mio padre che, come al solito, mi disse di stare attento ad andare in giro con le cuffie perchè rischiavo di distrarmi, scesi dalle scale e uscii dallo studio, e solo quando mi ritrovai davanti quella scena mi accorsi di quanto fosse vero quello che mi era stato detto poco prima. Sembrava la scena di un film, ma purtroppo non lo era. La polizia era davanti al bar e degli agenti stavano fotografando la scena del crimine. La vittima era il proprietario del Wirde, Giuseppe, che era stato accoltellato all’addome. Corsi in studio da mio padre che, dopo essersi fatto spiegare l’accaduto, mi concesse un giorno di riposo. Dopotutto avevo appena visto un uomo morto e anche se fossi andato a scuola di certo non avrei seguito le lezioni.
Di pomeriggio mio padre accettò di farmi andare a casa di Mattia ma a patto che prima di giocare ai videogiochi avessimo studiato e recuperato ciò che gli altri avevano fatto a scuola.
Il pomeriggio passò velocissimo e di sera tornai a casa per cenare in famiglia. Dopo cena mi sdraiai sul divano e presi il telecomando per mettere la mia serie tv preferita e quando accesi la televisione mi soffermai a guardare il telegiornale. Era appena iniziato e dovetti aspettare circa un quarto d’ora prima che parlassero dell’omicidio di Giuseppe e quando lo fecero non dissero altro che: “assasinato in piena notte il quarantottenne proprietario del Wirde, bar in centro città” e altre cose del tutto irrilevanti, insieme ad una sua foto. La settimana seguente le indagini procedettero a rilento, o almeno così sembrava dal telegiornale, tutti i giorni le stesse identiche notizie, non c’erano sospetti né indizi, ma del resto chi poteva voler morto un uomo tanto gentile e onesto? Martedì pomeriggio andai a casa di Mattia per fare i compiti e giocare al suo nuovo videogame regalatogli dal padre. Arrivato ci togliemmo scarpe e giubbotti, prendemmo libri e quaderni e iniziammo a studiare.
“Che cosa abbiamo da studiare?”
“Inglese”.
“Ok, che pagine?”
“124, 125 e 126”.
“Ok”.
“Come mai i tuoi non ci sono, di solito il giovedì non lavorano entrambi da casa?”
“Di solito sì, ma oggi mia madre aveva una riunione importante e mio padre è partito una settimana e mezza fa per lavoro”.
“Ah ok, fino a che ora lavora tua madre?”
“Non so, ma fino a tardi, se vuoi puoi restare a cena così mi fai compagnia”.
“Volentieri, fammi chiamare mio padre”.
“Ok”.
Rimasi a cena da Mattia e durante la cena iniziò a farmi domande strane:“Secondo te chi è stato?”
“A fare che?”
“A uccidere Giuseppe”.
“Non saprei, ma come mai me lo chiedi?”
“Ultimamente a casa le cose non vanno benissimo”.
“E cosa centra?”
“Mamma e papà, prima che partisse, litigavano spesso e ora è anche morto uno dei suoi più cari amici, comincio a pensare che il suo non sia proprio un viaggio di lavoro e magari se si scoprisse chi lo ha ucciso lui tornerebbe, mi manca”.
“Tornerà vedrai”.
“Io non credo proprio”.
“Come mai?”
“Aspettami qui, torno subito”.
Tornò con dei documenti in mano e mi disse:
“Guarda qua”.
“Ma cosa sono?”
“I documenti del divorzio”.
Guardai attentamente il documento firmato e poi dissi:
“Mi dispiace”.
“Non ti dispiacere, alla fine litigavano in continuazione”.
“Non hai mica detto che sei triste che tuo padre non sia a casa?”
“Sì, è vero, vorrei che ci fosse mio padre ma c’era qualcosa che non andava tra di loro, alla fine, forse è meglio così”.
“Non dire cose che non pensi solo perchè sei arrabbiato”.
“Io lo penso eccome”.
Passammo la serata a guardare un film, poi tornai a casa. Il giorno seguente Mattia mi disse che mi doveva parlare urgentemente, così ci demmo appuntamento durante l’intervallo in biblioteca. Alle 10:45 andammo in biblioteca, ci nascondemmo dietro lo scaffale più grande e meno contemplato: quello dei libri di storia. Buona parte degli studenti di prima e seconda media probabilmente non sapeva neanche dell’esistenza di quello scaffale, dove prendevano i libri solo gli studenti di terza per approfondire la prima e seconda guerra mondiale ed era lontano dalle mamme volontarie che registravano i libri, perciò era un posto perfetto per parlare, silenzioso e isolato. Avevo un po’, anzi a dire il vero tanta, paura di quello che aveva da dirmi Mattia, non sapevo di cosa voleva parlare e, se ne aveva bisogno, come consolarlo o aiutarlo. Riconobbe subito che ero agitato perciò disse: “Andrò dritto al punto. Ieri c’era un motivo se ti ho parlato dell’omicidio di Giuseppe. Beh, ieri ti ho solo chiesto se avevi una vaga idea di chi potesse averlo ucciso, ma oggi sono sicurissimo di volerlo sapere”.
“E quindi cosa vorresti fare?”
“Indagare”.
“Ma sei matto??? Tu, un ragazzino di 13 anni, contro un omicida spietato?”
“Beh, in realtà speravo potessi aiutarmi!”
“Io? Lo stesso ragazzino che ti ha appena detto che è una pazzia?”
“Il fatto è che non so a chi altro chiedere, tu sei il mio migliore amico e sei anche uno dei pochi ad aver visto la scena del crimine, potresti ricordare dei dettagli importanti”.
“Anche se ti aiutassi, come vorresti fare?”
“Non so, ma mi serve sapere se mi aiuterai”.
“Ti aiuterò”.
“Grande!!”
“Allora, qual è il piano?”
“Non ne ho in testa uno ma direi di partire dall’arma del delitto per poi risalire ai sospettati con i loro alibi e moventi”.
“Sembra una buona strategia”.
“Ok allora, io so che Giuseppe è stato accoltellato, ma non conosco altri dettagli, tu ricordi qualche dettaglio particolare del coltello?”
“L’unica cosa che ricordo è che era molto grande, magari di un macellaio”.
“Potremmo controllare”.
“E come?”
“Mia madre prende sempre il prosciutto iberico tagliato al coltello e sulla parete è appeso un enorme set di coltelli affilati, potremmo partire da quelli”.
“Ottima idea, quindi ci presentiamo lì, chiediamo il prosciutto e controlliamo se manca un coltello”.
“Ok ma quando?”
“Oggi pomeriggio io sono libero”.
“Perfetto, anch’io”.
Ci demmo appuntamento per le 16:20 dal macellaio di fianco allo studio oculistico di mio padre, sullo stesso vialone del Wirde ormai chiuso. Entrammo, ci mettemmo in fila, e iniziammo a chiedere il prosciutto.
“Posso avere 50g di prosciutto iberico per favore?”
“Ti ha mandato tua madre?”
“Sì, è il suo preferito”.
Prendemmo il prosciutto e uscimmo e iniziammo a parlare di quello che era successo.
“I coltelli c’erano tutti”.
“Ne sei sicuro?”
“Si”.
“Perfetto, siamo al punto di partenza”.
“Già”.
“Mi e venuta un’idea”.
“Dimmi”.
“Potremmo controllare se si vede qualcosa dalle telecamere fuori dallo studio di mio padre”.
“Ottimo, ma oggi?”
“Si, ma prima facciamo merenda perchè ho famissima. Mia madre ha preparato la torta con cioccolato e mirtilli, la tua preferita”.
“Ok, mangiamo quella?”
“Assolutamente si”.
Il viaggio verso casa di Mattia non fu molto lungo. Arrivati Mattia corse a prendere la torta e io mi sedetti a tavola.
“Quanta ne vuoi?”
“Una fetta abbondante”.
“Ok ma prendi il coltello”.
“Dov’è?”
“Nel primo cassetto”.
“Ok”.
“Qui non c’è!”
“Come no! Forse è in lavastoviglie”.
“Allora prendo un altro coltello”.
Finita la merenda iniziammo a dirigerci verso lo studio di papà, mentre lui stava visitando qualcuno o era al computer, perciò ci serviva un piano..“Mio padre sta lavorando perciò ci serve un piano”.
“Potresti fingere di aver lasciato lì qualcosa stamattina?”
“Non funzionerebbe, la mattina lo saluto e basta, non ho neanche il tempo di lasciare lì qualcosa. Potremmo fingere di dover stampare delle cose, la stanza delle telecamere è vicina a dove ci sono tutti i documenti e i risultati degli esami, dove c’è anche la stampante.”
“Potrebbe funzionare, ma nel caso ci dicesse di stamparle a casa?”
“Mmm… A casa tua è finito l’inchiostro e io non ho le chiavi di casa”.
“Ok, direi che è un buon piano”.
Qualche minuto dopo entrammo in studio e mio padre preoccupato chiese subito: “Cosa ci fate voi qui?”
“Dobbiamo stampare delle cose e da Mattia è finito l’inchiostro”
“Ok ma chiudete la porta, tra poco ho delle visite”.
“Grazie papo”.
Il piano stava funzionando alla perfezione. Entrammo nella stanza delle telecamere, accendemmo i vari PC e inserimmo la password: 13/04/2009, la mia data di nascita, un po’ banale ma di certo uno sconosciuto non avrebbe indovinato. Tornammo alle registrazioni della sera dell’omicidio. Trovammo il momento preciso dell’omicidio ripreso dalla telecamera che punta sulla strada, da lì si vedeva tutto. Ad un certo punto, tra una chiacchiera e l’altra vidi lo sguardo sereno di Mattia diventare fisso sullo schermo, i muscoli del suo collo irrigidirsi e la sua bocca non pronunciare nemmeno una parola, qualcosa non andava.
“Che hai?”
La prima volta non rispose ma io continuai a domandarglielo fino ad avere una risposta. “Che hai?”
“Fai un filmato dei cinque minuti dell’omicidio, ti spiego a casa”.
Arrivati a casa Mattia cominciò a camminare in cerchio per il salotto, poi si mise a piangere. “Prendi il cellulare”.
“Ok…”
“Guarda la macchina dell’assassino”.
“Non capisco”.
“Quella è la macchina di mio padre, ha anche la stessa targa”.
“Ma perchè mai avrebbe dovuto uccidere uno dei suoi migliori amici?”
“Guarda i primi trenta secondi del video”.
“Continuo a non capire”.
“Cosa c’è da capire! Pochi secondi prima di essere ucciso Giuseppe stava baciando una signora che poi è uscita dal bar e l’assassino, per meglio dire mio padre, lo ha ucciso dopo averlo visto. Probabilmente la donna con Giuseppe era mia madre, ha lo stesso taglio di capelli e la sua borsa è identica”.
“Ma tuo padre non era mica partito due giorni prima dell’omicidio?”
“In teoria sì!”
“C’è solo un modo per scoprire se la tua teoria è giusta…”
“Chiederlo a mio padre?”
“Assolutamente no, ma sei matto? Controlliamo se in questi giorni tuo padre alloggia in un hotel qui vicino, anche perchè non può mica essere così distante, la mattina va a lavorare alle 8:00”.
“Si ma come?”
“Non so, è tuo padre mica il mio, ci sarà pur qualcosa con cui puoi rintracciarlo”.
“Ora che ci penso mia madre usa un localizzatore dei telefoni di tutta la famiglia in caso ne perdessimo uno. Se ha dietro il suo telefono troveremo l’hotel in cui alloggia e potremmo chiedere da quando è lì”.
“Si, e come vorresti fare: “Mi scusi forse mio padre è un assassino ma abbiamo bisogno delle prove, ci può aiutare???”
“No, a quello ci penso io, fidati”.
“Del resto che altre opzioni ho?”
“Nessuna”.
Erano circa le sette meno venti ed eravamo stanchi morti ma dovevamo risolvere il caso. Tornammo a casa di Mattia e dopo aver rintracciato dal tablet il telefono di suo padre ci dirigemmo verso l’hotel. Arrivati, Mattia iniziò a parlare con la segretaria.
“Mi scusi, mio padre alloggia in questo hotel perchè ha litigato con mia madre e qualche giorno fa ha perso il suo PC, vorrei sapere il giorno esatto in cui ha iniziato ad alloggiare qui in modo da sapere se potrebbe averlo perso in altri hotel”.
“E non glielo puoi chiedere?”
“Ora è impegnato, lavora in banca e oggi ha una riunione importante e vorrei anche che sia una sorta di sorpresa, in questo periodo è molto stressato”.
“Va bene. Ha iniziato ad alloggiare qui il 17 gennaio”.
“Grazie mille”.
Uscimmo dall’hotel e iniziammo a discutere.
“Il diciassette mio padre è “PARTITO PER UN VIAGGIO DI LAVORO”, è il giorno giusto”.
“E ora? Diciamo tutto alla polizia?”
“Non so, è comunque mio padre. Dammi un giorno di tempo”.
“Ok scrivimi domani”.
Il giorno seguente mi svegliai abbastanza presto, considerando che era un sabato, ma a quanto pare qualcuno non aveva proprio dormito. Appena sveglio guardai il telefono e mi accorsi che Mattia mi aveva scritto. “Facciamolo”. Voleva incarcerare suo padre. Ci ritrovammo alle 10:30 davanti al distretto di polizia ed entrambi arrivammo in anticipo. Eravamo in ansia, ma sapevamo che era la cosa giusta. Entrammo nel distretto raccontando tutto ciò che sapevamo. La polizia all’inizio era un po’ scettica, due adolescenti che risolvono un crimine, un po’ insolito, ma poi dopo aver analizzato la nostra indagine hanno capito che il caso era risolto: c’era il movente e non l’alibi, l’arma del delitto e l’opportunità. Due settimane dopo il padre di Mattia confessò l’omicidio di Giuseppe dicendo “Quello che ho fatto non è giustificabile, mi sono mosso solo per vendetta, non potevo sopportare un doppio tradimento simile”.
Ci volle un po’ prima che le cose tornassero alla normalità, ma alla fine si sistemò tutto, o non proprio: il padre di Mattia era in carcere ed io a merenda mangiavo una merendina confezionata non paragonabile alla brioches che mangiavo prima, che però mi ricorderà per sempre tutto ciò che ho dovuto superare prima di arrivare dove sono oggi.
Un amore vero… forse
di Riccardo Cicchini- Sofia Trabattoni- Vittoria Trombetti- Alessandro Serlenga- Luca Frassinelli – 2C
Era una sera come tutte le altre. Chloe stava aspettando che il semaforo scattasse sul verde, per andare dal suo amato fidanzato Mason. Era una rarità che quei due si incontrassero poiché lui viveva dall’altra parte del globo rispetto alla sua città. Quella sera di pioggia, Chloe aveva un cappellino color rosso, che le copriva i suoi capelli biondi raccolti in uno chignon, con due ciuffetti che uscivano leggermente dal copricapo. I suoi occhi blu-vacui si confondevano con il clima triste che c’era attorno a lei.
L’emozione di Chloe era indescrivibile. Non riuscendo a trattenersi dalla voglia di incontrare il suo ragazzo attraversò la strada correndo. Nel frattempo il frastuono dei cavalli di una macchina potentissima le scoppiò in testa. Per i pochi passanti presenti nei dintorni, quella scena fu il momento peggiore della loro vita. Uno di loro, fortunatamente, non perse tempo e chiamò i soccorsi. A questo punto gli aiuti arrivarono seguiti dalla polizia e portarono il corpo ormai defunto all’ospedale.
La prima cosa che fecero fu sbarrare la strada, così nessuno poteva entrare e lasciare impronte nella scena del crimine, successivamente diedero la notizia ai familiari, i quali erano affranti da quelle parole. Quando Mason seppe quello che accadde alla fidanzata, non ci voleva credere, piangendo tornò a casa e il giorno dopo non si presentò neanche al funerale. Iniziarono le indagini. A capo di esse si trovava l’ispettore Benua Blanc, affiancato dal suo fidato collega Jonathan Boyce. Benua, era un uomo sulla cinquantina alto e slanciato, i suoi capelli crespi e brizzolati davano l’idea di un uomo colto, astuto e pensieroso. I suoi occhi a mandorla color marrone lo rendevano un uomo assai misterioso. Amava conoscere e sapere tutto ciò che riguardava la cronaca nera.
L’assistente invece, era una persona molto curiosa, e sempre pronta a scoprire nuove tecniche per risolvere i suoi prossimi casi.
Il giorno seguente, Jonathan era già in ufficio a lavorare al nuovo caso. Osservando le videocamere di sorveglianza, Jonathan, riconobbe che la macchina era uno dei taxi che scortano le persone famose, con i vetri oscurati. Scrisse tutti i dettagli dell’auto sul suo taccuino. Riuscì a tradurre perfino la targa pixelata rappresentata nella foto: AL496GL.Tutti in città conoscevano il lavoro del ragazzo di Chloe: l’autista di limousine per persone famose. Di scatto si alzò dalla scrivania dove stava pranzando e si diresse dall’ispettore Blanc, che gli disse di andare sul posto di lavoro di Mason. Prese il primo travestimento che gli venne in mente e fingendosi un poliziotto, andò al Vip Car, nome dell’agenzia per cui lavorava Mason, e disse che aveva una faccenda importante da svolgere, e per questo doveva controllare ogni targa; dentro e fuori dalla struttura. Quando arrivò, Jonathan si mise a controllare tutte le targhe delle auto che venivano tenute al “sicuro”. Dopo un po’ di controlli, riuscì a trovare la targa che aveva tradotto. Come aveva visto dalle telecamere la targa era molto difficile da decifrare. A questo punto chiese alla guardia, che in quel momento stava svolgendo il suo turno di lavoro, chi fosse colui a cui venne affidata la guida della limousine. Il sorvegliante gli disse che l’auto non si muoveva da due giorni e che non aveva la minima idea di chi fosse il proprietario. A quel punto l’unica spiegazione logica era che Mason, la sera del delitto, fosse entrato nel garage e avesse preso l’auto, e che fosse andato nel luogo dove avvenne l’omicidio.
Dopo una serie di lunghi interrogatori, tuttavia si scoprì che lui era a casa dell’amante,di nome Samantha; la quale, la sera dell’omicidio, se ne andò temporanamente dalla sua proprietà dicendo che doveva andare a fare una commissione. Jonathan, non del tutto convinto, andò a parlare con l’ispettore Blanc che gli disse di interrogare i vicini di Samantha, i quali confermarono la presenza di Mason nell’appartamento. Aveva un alibi ed era stato confermato…Non era più nella lista dei sospettati.
Lui, sconvolto di essere stato accusato, tornò a casa; prese il telefono e raccontò l’accaduto all’amante. Lei, di colpo, chiuse la chiamata e non si fece più sentire. Il giorno seguente, quando l’ispettore arrivò in commissariato, non trovò Jonathan. Non sembrava preoccupato, ma quando accese la TV la sua espressione cambiò. Era diventato pallido come un fantasma. Il notiziario diceva: ” Morto un assistente di polizia durante un’ispezione! Il suo nome era Jonathan Boyce!”
Il commissario, che era sempre stata una persona seria, per la prima volta accennò un’emozione diversa dalla felicità e dalla curiosità. Continuando le sue indagini, aveva deciso di tornare al Vip Car. Riosservando attentamente la macchina dell’omicidio, trovò un piccolo bracciale argento, con scritto sopra “ti amo Samantha”. Tutto fu chiaro per Blanc: Samantha aveva deciso di liberarsi di Chloe, per poter frequentare Mason senza intralci. Come se non bastasse, per non essere scoperta, aveva anche ucciso il suo caro assistente Jonathan!
Samantha venne arrestata e Blanc, seppur con qualche ostacolo, risolse il caso.
Londra in rosso
di Elsa Ferrari, Maya Boltri, Bianca Abbiezzi, Valerio Lavista – 2F

Si risvegliò nel vuoto assoluto, in una stanza spoglia, enorme, completamente bianca, circondato dal nulla. Un cielo bianco, fin dove il suo sguardo poteva arrivare. Iniziò a camminare e camminare; dove stava andando? Non lo sapeva neppure lui. Sapeva solo di dover uscire da lì. La stanza non finiva e mano a mano sembrava espandersi sempre di più. Ansioso si mise a correre più veloce che poteva, senza sosta, ma il paesaggio non cambiava. Oramai gli mancavano le forze per correre, il battito iniziò ad accelerare, sopraffatto le sue gambe cedettero e cadde terra
“Stai bene?” disse una voce profonda; Fred aprì le palpebre e la prima cosa che vide furono due grandi occhi color ambra che lo scrutavano preoccupati. Erano di un ragazzo attorno alla sua età che si abbassò, gli porse la mano e lo aiutò a sedersi. Fred era seduto: si girò e vide un corpo immobile di fianco a lui. Iniziò a girargli la testa di nuovo e lentamente chiuse gli occhi. Si risvegliò a letto, accanto a lui era seduto il ragazzo di prima.
“Piacere mi chiamo Christopher, mi dispiace conoscerci così, ma ieri sera ti ho ritrovato a Carnaby Street e vicino a te c’era il cadavere di una donna e ho chiamato la polizia. Eri ferito quindi l’assassino deve averti aggredito. Non è che ricordi qualcosa?”, domandò Christopher.
“Non ricordo niente”, rispose Fred.
“Ok ti lascio solo allora”. Detto ciò Christopher se ne andò via.
Passarono un po’ di giorni e Fred venne dimesso dall’ospedale. La sua ferita, un taglio profondo posto sotto lo stomaco, stava piano piano guarendo. A Fred non poteva importare meno dell’omicidio però aveva una strana senzazione nello stomaco che la notte non lo faceva dormire, così un giorno inconsapevolmente tornò in Carnaby Street. Con sua grande sorpresa trovò Christopher che si aggirava con fare sospetto per la via, facendo foto qua e là.
“Cosa fai qui?”, chiese Fred.
“Ah, Fred! Non ti avevo visto, sono tornato qui per fare alcune foto per la mia tesi di laurea, sono uno studente di criminologia e questo caso sembra particolarmente interessante,” si spiegò Christopher frettolosamente.
“Ok”, disse Fred e continuò a camminare.
“Aspetta! Hai saputo come è morta la ragazza?”, gli urlò Christopher. Ecco, questo sì che poteva interessare a Fred.
“No, spiegami” gli rispose.
“E’ molto peculiare, diciamo che non si è trovata una causa specifica: il corpo presentava varie lesioni e ferite di origini completamente diverse”, disse Christopher perplesso. “Una delle lesioni più gravi era la testa completamente bruciata, la presenza di benzina su un mucchio di capelli rossi accanto alla vittima, vari lividi viola lungo le braccia e il torace squartato con all’interno del cuore una rosa rossa.”
A quelle parole a Fred venne un tic all’occhio.
“Che ne dici di aiutarmi ad indagare?”, chiese Christopher con fare amichevole.
“Assolutamente no”, disse Fred. “Non voglio avere più niente a che fare con questa storia”
“Perchè continui a essere scontroso con me, io cerco solo di aiutarti”, disse Christopher deluso.
“Mi dispiace ma non riesco molto a interagire con le persone”, si scusò impaurito Fred, “ho paura di deluderle”.
“Tranquillo, con me è quasi impossibile, quindi, ci stai?”, chiese Christopher.
Fred sapeva di non dover accettare la sua richiesta, che tutto ciò avrebbe portato solo guai, ma qualcosa in fondo lo fece accettare.
“Va bene. Però se succede qualcosa sappi che non mi farò più vivo” disse serio.
Christopher lo guardò perplesso e decise che Fred era decisamente strano.
La sua corsa non aveva fine, si sentiva schiacciato da una pressione intensa che gli rendeva ogni movimento faticoso. Poi, ad un tratto una macchia rossa cadde dal ‘cielo’ e si espanse a terra. Poi un’altra, un’altra e un’altra ancora: era come una pioggia di colore rosso fuoco. Queste macchie rosse però non venivano solo dall’alto ma anche da terra, come dei fiori che sbocciavano.
Il giorno dopo i due ragazzi si incontrarono in Carnaby Street: “Incominciamo da quel poco che ti ricordi”, disse Christopher.
“Nulla, solo tu che mi svegli”, gli disse Fred “Evidentemente l’assassino mi ha spinto facendomi cadere e quindi ho perso la memoria”, proseguì lui.
“Probabilmente hai ragione, hai controllato se hai preso botte?”, chiese Christopher.
“Non c’è niente”, rispose Fred. “Io sto bene”, disse guardando il vuoto, riflettendo.
“Fred? Fred tutto bene?” la voce preoccupata di Christopher lo ‘risvegliò’ e lo riportò alla realtà.
“Sì… sì tutto bene. Stavo solo pensando a una cosa”, balbettò Fred.
“A cosa?” si incuriosì Christopher.
“A mia madre, anche lei era una rossa. Odiava i suoi capelli così tanto che un giorno se li è tagliati tutti con un coltello da cucina.”
Nei giorni successivi i due continuarono a vedersi e scoprirono che la vittima era una ragazza qualunque che non aveva mai provocato scandali, senza nessun nemico degno di nota. L’unico fatto che aveva colpito Fred erano i lunghi capelli rossi della ragazza che aveva origini Irlandesi; proprio come sua madre. Secondo Christopher l’omicida era un pazzo, secondo Fred l’assassinio era stato premeditato. Le somiglianze del cadavere con sua madre erano fin troppe per essere solo coincidenze, sapeva che il delitto c’entrava anche con lui e questo fatto lo metteva molto a disagio; come se non avesse già abbastanza guai a cui pensare, la notte non dormiva, era disoccupato e la sua ferita non si era ancora cicatrizzata. Mentre parlavano Christopher ebbe un lampo di genio.“Forse c’è un sospettato…quando sei svenuto, sono corso a chiamare la polizia dal bar dall’altra parte della strada e c’era una donna, so chi è; una ex detenuta in prigione per aggressione. E’ una potenziale sospettata.”“Sì. Potrebbe essere,” disse Fred.
Nei giorni seguenti avvennero altri omicidi, tutti uguali con lo stesso modus operandi: i capelli color rame strappati, le braccia ustionate e una rosa conficcata nel cuore attraverso la trachea. Purtroppo non trovarono neanche un indizio e fu come se fossero al punto di inizio, tranne per la sospettata. Christopher aveva scoperto che la donna era disturbata da vari problemi: “Si chiama Nicole ed è finita in prigione per aggressione e violenza verso sua sorella che è stata ricoverata in ospedale con un trauma cranico. Ora Nicole è un alcolista e quel bar malfamato è diventato come casa sua. Inoltre è disoccupata perciò i soldi le mancano.”, spiegò Christopher. “Comunque aveva già problemi mentali, soffre di schizofrenia e depressione”.
Schizofrenia e depressione, schizofrenia e depressione, schizofrenia e depressione. Erano questi i disturbi che sin da piccolo avevano tormentato Fred: “Stai zitto. Stai esagerando, non hai niente, smettila di fingere di stare male. Alzati ed comportati da uomo. I ragazzini forti non piangono. Non lamentarti! Non sai le pene che ho passato per te, ho sacrificato tutto, mi hai rovinato la vita.” Glielo ripeteva sempre, quando beveva e soprattutto quando lui la lasciava sola. Per Fred il passato sembrava tornare in ogni cosa.
I ‘fiori’ continuarono a sbocciare e lui iniziò a tremare, si sforzò ancora di più ma davanti a lui c’era sempre lo stesso vuoto bianco e infinito, la pioggia si stava lentamente intensificando e in lontananza intravide la comparsa di una grande macchia rossa che si espandeva.
Sentiva un forte dolore alle gambe, ai piedi e il suo fiato cominciava a mancare, sapeva di non poter permettere a se stesso di fermarsi; era sicuro che in fondo a quella stanza ci fosse qualcosa. Sentiva la sensazione di dover scappare da un peso che lo tormentava, non aveva idea di cosa fosse, ma quella sensazione lo faceva sentire oppresso.
“Ecco, Nicole è laggiù in fondo ma non riesco a capire cosa stia facendo”, disse Christopher.
I due ragazzi erano tornati al bar per cercare informazioni in più sulla donna, ma non avevano ancora trovato niente. Dopo un po’ Nicole si alzò e uscì dal bar, con un’espressione preoccupata. Christopher e Fred la seguirono fino ad una villetta che forse era la più bella del quartiere. Lei bussò ed ad accoglierla fu un uomo di media statura con una barba folta. “Perchè sei tornata? Ho detto che non voglio più vederti”
“Voglio rivedere i miei figli, ti prego”.
“Assolutamente no, hai una brutta influenza su di loro e poi l’avvocato ha parlato chiaro”.
Nicole scoppiò a piangere e cercò in tutti i modi di entrare in casa scostando l’uomo ma lui con un violento spintone la buttò a terra: “Vattene via e non farti più rivedere”.
Fred e Christopher erano sconcertati. Nicole era una donna con molti problemi come già sapevano, era la loro unica pista e sembrava promettente, quindi decisero di seguirla per vedere dove poteva portarli. La donna si sedette su una panchina del parco vicino alla casa da cui era appena scappata, e scoppiò a piangere. I suoi singhiozzi furono l’unico rumore che si sentì per qualche minuto, finché non si fermò. Rimase ferma per qualche secondo, fissando il vuoto, gli occhi gonfi e la faccia che non mostrava nessuna emozione.
Poco dopo arrivò un’altra donna, con un fare sospetto che si mise a parlare con Nicole.
“Hai visto? Sembra che si conoscano da tanto tempo”.
Fred non rispose. Come al solito, se non aveva niente da dire preferiva non parlare
“Forse anche lei è una complice,si staranno organizzando per il prossimo omicidio”, aggiunse Christopher.
Era ormai sera quando Fred e Christopher decisero di andare a casa, le due stavano ancora parlando, sembravano felici e ridevano; niente di sospetto quindi se ne andarono. Il giorno dopo i due ragazzi tornarono al bar sperando di trovare Nicole, ma dopo qualche ora in cui lei non si fece viva Fred decise di andarsene a casa. Christopher invece rimase al bar per conversare col barista che si chiamava William: “Ma dimmi un po’Will, questa Nicole è una cliente abituale, no?”
“Si, viene qui da circa un mese e mezzo, da quando ha divorziato con suo marito”.
“Ah davvero, in effetti sembra sempre molto triste e stanca”.
“Già, sarà l’effetto dell’alcool”, rise fragorosamente William.
Christopher non voleva ammetterlo ma era piuttosto a disagio. Proprio in quel momento lei entrò più triste del solito: sembrava le fosse arrivato un treno addosso.
“Oh, Buongiorno Will. Mi fa il solito?”, chiese lei titubante.
“Un whiskey in arrivo!” ridacchiò il barista.
Non è normale fare uso di alcool a quest’ora, pensò Christopher.
“Grazie mille Will, alla prossima”e senza aggiungere altro e se ne andò frettolosamente.
Tornando a casa Christopher ripensò a tutto quello che stava accadendo, tutti gli omicidi, e all’improvviso anche lui si sentì sopraffatto dalla stessa tristezza di Nicole, e sentì la necessità di trovare chiunque stesse commettendo quegli orrori a quelle povere ragazze, e si giurò che avrebbe trovato il responsabile e nella sua tesina avrebbe raccontato a tutti quello che era successo. Decise di provare a non pensarci.. Era ormai passata qualche ora e Christopher era andato a fare una passeggiata per schiarirsi le idee, quando ad un certo punto vide un’edicola che vendeva i giornali usciti nell’ultima ora, e decise di comprarne uno. Si sedette su una panchina e aprì il giornale, la prima notizia lo lasciò senza parole, si alzò e corse via, diretto a casa di Fred. Quando Fred uscì dal bar svoltò a destra, diretto a casa sua. Si sentiva stanco, aveva la testa pesante e le gambe non riuscivano a muoversi bene. Appena entrò nello squallido appartamento in cui viveva ormai da tanto tempo, notò subito che c’era qualcosa che non andava, sembrava come se tutto fosse stato spostato e poi rimesso al suo posto, anche se con qualche millimetro di differenza. Finalmente riuscì a capire cosa non funzionava, il grande quadro che dominava la stanza era stato spostato e ora la figura sembrava distorta. Era un dipinto di sua madre, regalatole da uno dei suoi tanti ammiratori. I suoi grandi occhi verdi avevano uno sguardo divertito, le labbra incurvate in un sorriso senza denti e i suoi tanto odiati capelli rossi le cadevano liberi sulle spalle. Effettivamente, pensò Fred, due giorni dopo aver ricevuto il quadro sua madre si era tagliata i capelli e aveva nascosto il dipinto, non volendo vedere più niente che glieli ricordasse. Era davvero una bella donna, e Fred aveva ereditato da lei il colore degli occhi, e il lineamento della faccia che scendeva morbido, stranamente non aveva ricevuto i capelli rossi, che erano di un castano con riflessi biondi. Scavalcò il divano per raggiungere il quadro, quando notò qualcosa di strano dietro la tela. Delicatamente rimosse il quadro dal muro e fu sorpreso di vedere un’apertura dietro il quadro. Riuscì ad entrarci facilmente facendo leva sul divano. Quando fu dentro quasi svenne. Tutto lo spazio era pieno solo di quel dannatissimo fiore. Rose, rose rosse piene di spine con il gambo lungo, e petali color fuoco. Ma le rose non furono l’unica cosa che vide. Trovò anche dei coltelli. Grandi e lunghi, probabilmente coltelli da cucina, ed erano tutti sporchi di qualcosa di rosso scuro. Sangue. Fred ne contò sei, come gli omicidi avvenuti. Ma ne trovò anche un settimo, dentro le tasche della sua giacca che aveva ancora addosso. Qui il sangue era ancora fresco, e macchiò le sue mani. Rimase sull’uscio della stanza per un tempo indefinito, forse ore, o forse giorni, chiedendosi se fosse davvero stato lui a commettere quegli omicidi, e nonostante tutto non riuscì a ricordarsi neanche un singolo particolare che lo potesse collegare agli avvenimenti. Tutto ad un tratto sentì la porta aprirsi e Christopher entrò tutto agitato.
“Hai sentito? Hanno ucciso Nicole, anche lei come le altre, è la settima, Fred dobbiamo fare qualcosa..”, la voce di Christopher lo svegliò dalla sua trance. “Fred sei in casa? Fred? Fre..”, la sua voce si spezzò quando lo trovò. “Che..che cosa significa?”
“Non lo so”, furono le uniche parole che Fred riuscì a tirare fuori sentendo le lacrime scorrere sulle guance. “Chiama pure la polizia, ormai non ho più niente da perdere”. Non riusciva a vedere più niente, la testa girava e le forze lo stavano abbandonando.
“Fred adesso ci sediamo e mi spieghi tutto..Fred, Fred svegliati.. Fred!”. Queste furono le ultime parole che sentì prima di accasciarsi sull’uscio della stanza, i suoi occhi si chiusero, e la sua testa cominciò a pulsare, un dolore lancinante che però piano piano cominciò a svanire, insieme alle sue forze.
Fred si ritrovò nel corridoio bianco, ma stavolta non corse, cominciò a camminare, cercando di raggiungere il grande agglomerato rosso. Dopo un lungo tempo riuscì ad arrivare e davanti a lui trovò un enorme giardino di rose rosse, che nonostante fossero al chiuso erano bellissime e perfettamente tenute. D’un tratto la sua sensazione di oppressione cessò completamente, si sentiva leggero e libero come non era mai stato. Era come spiccato in volo; gli erano spuntate due ali bianche e candide. Chiuse gli occhi e all’improvviso tutto tornò nella sua mente, tutti i ricordi, e tutto divenne più chiaro. Si ricordò di tutti gli omicidi e Fred capì di essere stato lui ad uccidere quelle donne, durante quelle tanto odiate crisi che lo portavano a dimenticarsi tutto, e all’improvviso il desiderio di vendetta verso sua madre che lo aveva portato a quel punto sparì e gli ritornò alla mente di quella sera di agosto, quando l’afa e il caldo avevano preso il sopravvento, e Fred era steso sul divano, mezzo addormentato, e sua madre in cucina aveva iniziato a bere. All’improvviso sentì la porta aprirsi, e dei passi familiari invasero la stanza.
“Come stai nanetto?”, gli disse l’uomo scompigliandogli i capelli. “Ti ho portato un regalo anche stavolta”. Detto questo tirò fuori un mazzo di rose rosse, prendendone una e offrendogliela. Fred l’annusò e il profumo fresco dei petali riuscì a rinfrescare anche lui. “Senti, per caso sai dov’è la mamma?”, chiese gentilmente lìuomo. Fred indicò la cucina con la testa, e l’uomo sparì, lasciandolo al suo dormiveglia. Poco dopo venne svegliato da delle urla, così si avvicinò alla porta della cucina, e si mise ad osservare la scena attraverso uno spiraglio. Vide sua madre e l’uomo, quest’ultimo era in piedi davanti alla donna e cercava di calmarla mentre lei urlava e gli puntava il dito contro. Ma Fred sapeva che lei non si sarebbe calmata: quando mamma beveva e si arrabbiava non c’era nessuno che potesse fermarla. Poi le cose peggiorarono. Sua madre tirò fuori una pistola dal cassetto e la puntò contro l’uomo. “Se non esci da casa mia all’istante non mi farò problemi a premere il grilletto”, lo minacciò.
“Ti prego calmati, voglio solo parlare, Fred non può più vivere così, è solo un bambino, con queste crisi lo sai che non vivrà molto..ogni volta che ne ha una soffre tantissimo e non riesce a controllarsi, un giorno finirà per uccidere qualcuno..”
Un lampo di dubbio attraversò gli occhi della madre, la sua presa sulla pistola si allentò e sembrò quasi convinta a cedere, ma non durò tanto perchè premette il grilletto e il proiettile centrò perfettamente la testa dell’uomo facendolo cadere davanti alla porta, rivelando Fred, che aveva osservato la scena con le lacrime agli occhi. Sua madre lo vide e gli lanciò uno sguardo di odio puro, che non avrebbe mai dimenticato, poi gli passò davanti e se ne andò, lasciandolo da solo, una rosa rossa in mano, e un cadavere per terra.
IL MISTERO DEGLI OMICIDI DI CAMPOLARGO – UN PROF SFORTUNATO
di Andrea Andaloro, Giovanni Cartoccio, Beatrice Poggi, Eve Weber – 2A
Lunedì mattina. Sono le otto. Suonava quella stridula campanella , come ogni mattina. Tutti i ragazzi delle medie del paese di Campolargo entravano a scuola in una informe e chiassosa folla. Il mio amico Leo ed io salivamo le scale mentre Francesco, Stefano e Christian, i tre bulletti, ci davano fastidio continuando a spingerci. Appena entrati in classe ci sedemmo ai nostri posti pronti per affrontare una dura lezione di storia. Mentre la prof spiegava le cause dela seconda guerra mondiale, la mia testa cercava di viaggiare in quella di Leo, che sembrava assorto nei suoi pensieri. Durante le due ore successive, quelle di ginnastica, i tre bulli continuarono a prendermi in giro minacciandomi con delle palle da basket. Una palla mi sfiorò. Leo, vedendo la scena, venne in mio soccorso: “Se non lasciate stare Simo, vi lancio una palla addosso!” E loro risposero con aria ironica: “Oh, che paura! Meglio correre via!” E se ne andarono ridendo. Le ultime ore passarono con più spensieratezza: c’era educazione artistica, la materia preferita di Leo che infatti era più sereno e lavorò sempre con il sorriso. L’indomani i tre mi presero di nuovo di mira e il capo, Francesco, mi disse: “Allora, mi fai copiare i compiti di matematica?” E Stefano: “Ma no, ovvio, lui è un nerd, non fa copiare i compiti a nessuno, tiene per sé i suoi segreti”. “Ah ah ah” ridacchiò Christian. Durante le due ore di italiano si sentì bussare alla porta, che si aprì immediatamente ed entrò un poliziotto in uniforme. Tutti cominciarono a bisbigliare, a chiedersi il perché di quella visita finché la prof non richiamò al silenzio ed il poliziotto incominciò: “Questa mattina è stato ritrovato, nel giardino di una casa abbandonata, il corpo del professor Banucci, docente di matematica di questo istituto; è stato sparato alle tempie”. Ci fu un silenzio tombale e qualche lacrima scese dalle guance dei miei compagni. Leo mi guardò sconcertato mentre la mia mente si riempiva di pensieri non so se di paura, di rabbia o di tristezza. Il giorno dopo tornammo a scuola regolarmente, anche se tutti più silenziosi ed impauriti. Leo mi disse che doveva farmi conoscere una persona così la mia curiosità si accese. Cio incontriamo durante l’intervallo, vicino al bagno dei maschi. Mi presentò una bellissima ragazza di seconda media: i suoi capelli sembravano onde color tramonto e i suoi occhi color smeraldo erano allegri. Aveva tante piccole lentiggini che le coprivano il nasino. Era una figura slanciata con le dita affusolate e ben curate. Si chiamava Ellison. Da quel momento ci incontriamo giù ogni giorno nello stesso posto a tutti gli intervalli. Ci raccontavamo delle cose che succedevano durante la giornata, ma l’argomento principale era l’omicidio del povero prof Banucci.
UNO STRANO CIGOLIO
Qualche settimana dopo un agente di ronda stava controllando la zona vicino alla casa abbandonata, dove era stato ritrovato il corpo del professore, quando sentì provenire dalla porta un lungo cigolio. Decise di andare a vedere all’interno e fu in quel momento che vide una scena agghiacciante: il cadavere di una donna pendeva dal soffitto, appesa per i piedi. Aveva un taglio profondo sul collo; si vedeva un grumo di sangue ormai asciutto e a terra c’era una pozza rosso ciliegia. L’agente tornò ancora ansimante in commissariato ; iniziarono le indagini: la vittima era la professoressa di italiano, moglie del pescivendolo. A quel punto la polizia chiese ed ottenne la temporanea chiusura delle scuole: ci poteva essere un serial Killer in paese. Noi ragazzi ci ritrovammo a casa di Ellison. Volevamo indagare e mettere fine a quel mistero. Ci incontrammo molte volte; tutti gli altri incontri si svolsero nel retro del bar di mio zio. Come prima cosa pensammo a dei moventi: il primo colpevole che ci venne in mente fu il pescivendolo. Era sempre scorbutico con la gente e cercava di evitarla. Da qualche anno inoltre aveva un pessimo rapporto con la moglie ed era arrabbiato con il prof di matematica in quanto aveva bocciato suo figlio. Perfetti moventi! Ma per sostenere la nostra ipotesi dovevamo cercare e trovare degli indizi. Decidemmo di cercarli in sua casa mentre lui era fuori. Alle 16:00, dopo aver chiuso il negozio, il pescivendolo andava sempre al bar per bere una birra e dopo faceva un giro al parco. Avevamo circa un’ora per trovare tutti gli indizi che ci servivano. Per entrare senza destare sospetti, decidemmo di prendere la copia delle chiavi che la nonna di Elly, vicina del pescivendolo, aveva sempre perché doveva badare al gatto quando lui era in vacanza. Così alle 16:00 eravamo tutti e tre là con le chiavi. Entrammo cercando di non fare rumore, ma subito il gatto si mise a miagolare così Leo cominciò a fargli le coccole e lo acquietò. Per prima cosa siamo andati nella camera da letto del pescivendolo e della sua defunta moglie. Non trovammo niente di molto utile nella camera, allora incominciammo a cercare in cucina. Qui invece trovammo una corda simile a quella con cui era stata impiccata sua moglie. Il primo indizio concreto! Continuammo le ricerche in salotto ma anche qui nulla di interessante. Erano già le 16:45 ed Elly disse: Ragazzi non abbiamo più molto tempo, il pescivendolo arriverà a momenti!
Così uscimmo in fretta dall’appartamento e andammo dalla nonna di Elly per vedere se aveva un alibi. Ci disse che la sera dell’omicidio il pescivendolo stava guardando un programma di musica e cantava ad alta voce. A quel punto ci demoralizzammo, in quanto il pescivendolo aveva un alibi. Tornammo a casa un po’affranti ma senza perdere la speranza. Il giorno dopo ci vedemmo sempre nel nostro covo, il retro del bar di mio zio, e decidemmo di cercare indizi nella casa abbandonata, che però era chiusa e sorvegliata. Quindi escogitammo un piano: dovevamo andare di notte durante il cambio di turno, alle 22:00 precise. Era una questione di pochi secondi, dovevamo essere molto veloci. Ci incontrammo un quarto d’ora prima delle 22:00 davanti a casa di Leo per organizzarci e ripetere il piano un’ultima volta. Avevamo torce, guanti e io avevo portato anche una lente di ingrandimento. Alle 21:55 ci incamminammo e alle 22:00 eravamo nascosti dietro un cespuglio, aspettando il cambio di turno. Dopo qualche minuto arrivò il collega del poliziotto che faceva la ronda e fu in quel momento che come dei ninja ci intrufolammo dentro la casa senza fare il minimo rumore. Appena entrati comparve ai nostri occhi una scena agghiacciante: c’era sangue sparso ovunque, la corda per terra e i nastri gialli della polizia che circondavano la scena del crimine. Cercammo di individuare qualche indizio utile. Leo che era molto maldestro inciampó su un asse di legno leggermente sporgente e, rialzandosi, si accorse di un piccolo buco. All’interno c’era un bigliettino, sporco e mal ridotto con scritto sopra “Domani all’ora della Luna, dietro lo spettacolo del Sole. Firmato BKP”. Non sapevamo cosa potesse significare, ma non avevamo tempo di pensarci in quel momento, Leo se lo mise in tasca e continuammo la nostra ricerca. Ci incamminammo verso la soffitta, i gradini scricchiolavano ma cercammo di fare il minimo rumore. Il vano era impolverato e praticamente vuoto, c’era solo una scatola grigia coperta dalla polvere, con dentro dei fogli ingialliti dal tempo. Non si leggeva molto bene perché era rovinata la scritta ma si distinguevano dei numeri, e qualche parola: matematica, italiano storia e comportamento.
Elly disse:” Sembrerebbe una pagella!”
” E anche molto brutta” aggiunse Leo.
“Secondo me la pagella appartiene al killer che ora si vuole vendicarsi dei professori che gli hanno dato brutti” aggiunsi.
“Bella intuizione!” disse Elly.
Io diventai tutto rosso, ma per fortuna era buio e non mi vide nessuno. Mentre la guardia di ronda faceva il giro dietro la casa pensammo che fosse il momento giusto di andare a vedere nel giardino. Accendemmo le torce cercando di non farci notare, e incominciammo a scrutare dappertutto, ma Elly purtroppo cadde e fece abbastanza rumore da far venire l’agente di ronda verso di noi. Era il momento di andarsene. Corremmo via fino ad arrivare davanti a casa di Leo e ci demmo appuntamento il giorno dopo nel nostro covo segreto. Il giorno successivo iniziammo subito con l’analizzare il proiettile. Utilizzammo dei guanti e stando molto attenti lo scrutammo con la mia lente d’ingrandimento. Trovammo, incisa sul lato, una scritta che diceva:”BKP”. Ci guardammo per qualche istante. Non avevamo idea di cosa potesse significare. Allora passammo ad analizzare il biglietto. Sembrava essere un indovinello. Elly disse immediatamente:”C’è scritto domani, quindi potrebbe essere un biglietto per un incontro segreto” e Leo aggiunse:” Se questo é un biglietto per un incontro ci sarà un luogo e un’ora” . “All’ora della Luna…” dissi pensieroso e subito Elly rispose:”C’è anche “dietro lo spettacolo del sole” quindi sarà sicuramente di notte, ma dobbiamo capire l’ora precisa. Però se sia all’ora della luna che lo spettacolo del sole indicano l’ora, non c’è qualcosa che indichi il luogo”. Intervenne Leo: “Visto che l’orario è di notte allora la frase ‘All’ora della Luna’ indicherà l’orario”. Dopo una lunga pausa mi feci avanti e dissi:” Sarà l’ora in cui la Luna è più alta, perciò sarà a mezzanotte!”. “Hai ragione!”fecero in coro Elly e Leo. Adesso non ci rimaneva che trovare il luogo. “Dobbiamo trovare un luogo che si chiami o che c’entri con il sole” affermò Leo. “E che c’entri con gli spettacoli, come un cinema Però non c’è nessun cinema che si chiami o che c’entri con il Sole” aggiunse Elly. “Allora proviamo a cercare un teatro” dissi. “Sì, vicino a casa mia c’è un teatro che si chiama “Teatro del Sole”!” proclamò Leo, “E dietro lo spettacolo vorrà dire nelle quinte” aggiunse . “Giusto!” esclamai. Avevamo risolto l’indovinello: “Domani a mezzanotte dietro le quinte del teatro del Sole”.
Allora tornammo a concentrarci sul proiettile. “BKP…” Quelle tre lettere continuarono a risuonarmi in testa come mosche fastidiose. Ad un tratto Elly disse:”Visto che si tratta di un assassino, “K” potrebbe stare per “killer”, che ne pensate?” “Sì, potresti avere ragione, solo che io andrei prima a vedere nel teatro, lì secondo me ci sono più indizi” affermai. Così decidemmo di andare a guardare nel teatro verso le 15 perché era il momento di andare a mangiare. Ci dirigemmo verso una pizzeria vicino al teatro del Sole ma avevo sempre una strana sensazione di essere osservato. Finito il pranzo andammo immediatamente a cercare gli indizi che ci servivano, muniti di torce e guanti. Avevo sempre la stessa sensazione. Il teatro era chiuso quindi pensammo che il modo migliore di entrare fosse dalla finestra aperta che dava sulle quinte. Entrammo senza fare rumore e incominciammo a cercare. Per parecchi minuti non trovammo niente finchè Leo ad un certo punto esclamò:”Guardate! Un altro proiettile!” “Fammelo vedere!” Rispose Elly che era molto attenta ai dettagli. Lo osservò per qualche istante e poi disse:”È lo stesso di quello che abbiamo trovato nella casa abbandonata. La stessa scritta e lo stesso tipo di proiettile”. “Secondo me dobbiamo farli vedere alla polizia” affermai “. Meglio se continuiamo a cercare qui e poi domani li daremo alla polizia” disse Leo. Continuammo a cercare e dietro una scatola di vestiti per i travestimenti trovammo una mappa del paese; vi erano segnati dei luoghi, forse quelli dei successivi crimini. Elly fece uno schizzo su un taccuino cheaveva con sé, in quanto non potevamo portarla via. Stemmo lì per ore finchè non sentimmo il chiacchierare degli attori avvicinarsi. Uscimmo sempre dalla finestra. A quel punto per paura che ci scoprissero corremmo più velocemente e ci dirigemmo verso il covo. Però la mia sensazione era vera. Un uomo, vestito di nero e con aria misteriosa ci stava guardando da lontano. Aveva notato che lo avevo visto, così si era nascosto dentro le piccole vie della città. Dissi ciò che avevo visto ai miei amici e quindi cominciammo a camminare più velocemente. Eravamo quasi arrivati quando ci sbucò davanti la stessa persona di prima.
LA FUGA
Incominciammo a correre presi dal panico. Il posto più adatto in cui nasconderci era il bosco vicino al cimitero. Nonostante il cielo fosse tenebroso e stesse per piovere continuammo a correre senza fermarci con dietro le spie. Arrivati all’inizio del bosco Leo urlò:” Separiamoci! Ci ritroviamo dopo quando se ne sarà andato. A quel punto corremmo in direzioni diverse e ci disperdemmo nel bosco. Stava diluviando e tuonando. Io inciampai su una radice di un grande albero che aveva sul tronco un grande buco. Decisi di nascondermi lì dentro. Appena entrai vidi delle foglie cadute e dei rami che potevano aiutarmi a coprirmi. Faceva molto freddo ed ero impaurito. Sentii dei passi avvicinarsi. A quel punto la paura si fece ancora più grande. Pochi istanti dopo si sentì una voce borbottare come se fosse arrabbiata e poi disse: “Ci sono delle impronte nel fango! Si interrompono qui. Uno di loro sarà salito sull’albero. O é andato dentro questo buco”. Si sentirono di nuovo dei passi, leggeri sulle foglie cadute, questa volta ancora più vicini. Avrei voluto scappare via ma non avevo via di scampo. Cercai di mimetizzarmi con le foglie e i rami facendomi un mucchio fatto di essi sopra. Per fortuna era buio. Una faccia sbucò dentro e scrutò per qualche minuto finchè disse:”Non c’è nessuno qui.” Prima di ritrarre la testa l’uomo scosse il capo come se fosse deluso ma anche dubbioso. La testa sparì ma non si sentirono passi allontanarsi. A quel punto pensai di essere spacciato ma non mi persi d’animo ed escogitai un piano. Pensai che la soluzione migliore fosse fare rumore per distrarlo. Presi un sasso abbastanza grosso e lo lanciai per terra in un punto lontano. Lui si accorse subito e andò a controllare. Avevo i secondi contati: mi buttai a terra e corsi più veloce che potevo senza fare troppo rumore. Per mia fortuna aveva smesso di piovere così non rischiavo di scivolare. Intanto l’uomo misterioso era tornato e mi aveva visto, così incominciò a inseguirmi. Dopo 10 minuti di corsa finalmente trovai un masso. Mi nascosi dietro di esso e l’uomo proseguì pensando che stessi ancora scappando. Appena fu abbastanza lontano uscii dal nascondiglio e incominciai a camminare cercando di non fare rumore. Ad un certo punto mi fermai di colpo: un cespuglio si stava muovendo. Mi avvicinai lentamente ma una figura saltò fuori dal cespuglio armata di un bastone. All’inzio non la riconobbi ma poi realizzai che era Elly: ”Oh scusa pensavo che fossi l’uomo che mi inseguiva”. “ Non ti preoccupare, anche io pensavo che lo fossi.” Ci fu un minuto di silenzio e poi dissi: “Sarà meglio trovare un riparo, sta iniziando di nuovo a piovere” . Trovammo una piccola grotta e vi entrammo. Incominciai a sentire un peso sul cuore. Dovevo dirle una cosa ma non ne avevo il coraggio. Le dissi: “Elly lo so che non è il momento però di devo dire una cosa… tu mi piaci”. Ci fu un silenzio imbarazzante e poi Elly disse: “Simo… anche tu.” Ci guardammo negli occhi e piano piano ci avvicinammo. Dopo un sguardo intenso ci baciammo. Le sue labbra erano morbide e bagnate per la pioggia, le sue guance rosse per il freddo, morbide e rigate dalle lacrime. Dopo alcuni minuti ci staccammo e ci abbracciammo forte per riscaldarci a vicenda. In quel momento ero la persona più felice del mondo, ma dimenticai completamente quello che stava succedendo. Quando finalmente smise di piovere uscimmo dalla piccola grotta per andare a cercare Leo. Questa volta però non ci separammo più. Passarono diversi minuti, credo più di mezz’ora, fino a quando sentimmo un rumore provenire da dietro. Ci voltammo ma non vedemmo nessuno, così continuammo la nostra ricerca. Ad un certo punto sentimmo nuovamente quel rumore e questa volta qualcuno ci saltò addosso. Era Leo. Dopo esserci rialzati ci abbracciammo felicissimi di esserci ritrovati. Tornammo a casa sani e salvi. I miei genitori erano preoccupatissimi e appena mi videro pieno di foglie e bagnato mi corsero incontro dicendomi: “Dove siete stati? Oh ci siamo preoccupati così tanto!” Dopo aver raccontato la storia mia madre disse: “Non ti farò uscire più di casa se non sei sorvegliato! Non posso fare accadere di nuovo una cosa del genere”.
IL RAPIMENTO
Il giorno seguente, ancora scossi e stanchi dalla notte precedente, ci sentimmo per telefono in quanto non potevo più uscire di casa. Decidemmo che dovevamo portare gli indizi che avevamo trovato sia nella casa che nel teatro al commissariato, e inoltre adesso potevamo fornire anche una descrizione di quelli che potevano essere i possibili assassini. Pensammo che ci avessero inseguito perché ci avevano visto indagare nel loro covo segreto. A me sembrava strano che fossero così tanti gli assassini ma pensammo che potevano essere degli aiutanti di un serial killer. Mia madre mi fece uscire con Leo ed Elly però ad una condizione: non potevo andare al covo segreto per “giocare” all’investigatore. Così andammo subito al commissariato con la foto della mappa, i proiettili, il biglietto e la descrizione degli aiutanti del killer. Appena entrammo incontrammo un uomo in sovrappeso con l’uniforme che non si chiudeva del tutto in fondo. Ci disse che si chiamava Vincenzo e che potevamo rivolgerci a lui così entrammo nel suo ufficio. Partimmo dalle prove materiali e Leo incominciò a spiegare: “Abbiamo trovato questi due proiettili con inciso sopra “BKP” uno nella casa abbandonata e uno dietro le quinte del teatro Sole. Siamo andati nelle quinte di questo teatro perché abbiamo trovato questo bigliettino” e lo porse a Vincenzo che disse borbottando: “Domani all’ora della luna dietro lo spettacolo del Sole… quindi è un bigliettino di invito per un incontro segreto” “Esatto. Siamo andati allora a vedere lì e abbiamo trovato anche una mappa con dei posti del paese segnati. Elly mostragli il disegno” ed Elly tirò fuori il suo taccuino e fece vedere lo schizzo. “Allora ragazzi, a parte il fatto che non dovete impicciarvi nelle cose della polizia e quindi non dovrete mai più indagare, siete stati molto bravi. Avete capito cosa significhi la scritta “BKP”?” “Abbiamo pensato che “K” stesse per killer in quanto si tratta di un assassino, però per le altre lettere non abbiamo trovato una spiegazione” “Però dovremmo dirle anche di un’esperienza accaduta ieri” intervenni: “Un uomo, fuori dal teatro, ha incominciato ad inseguirci e noi siamo scappati nel bosco. Pensiamo che fosse il killer e fornire una sua descrizione”. “Scrivetela qui e io la manderò al nostro disegnatore” A quel punto ci porse un foglio e incominciammo a scrivere: “Non riuscivamo a vederlo benissimo nel buio, era una figura losca sulla cinquantina. Aveva dei capelli che sembravano essere neri con qualche sfumatura grigia. La barba era spettinata e anch’essa nera. Era alto e un po’ sovrappeso. Aveva le spalle larghe ed era avvolto in un mantello lacero. Sulle braccia c’erano piccoli tagli e i segni del tempo sul suo viso incominciavano a farsi vedere”. Appena finimmo di scrivere, consegnammo il foglio e Vincenzo uscì dallo studio. Tornò poco dopo ed Elly esclamò: “Se ci hanno rincorso degli aiutanti vuol dire che hanno un capo. Un capo è chiamato anche Boss quindi “B” in “BKP” potrebbe stare per “boss”. Che ne pensate?” “Potresti avere ragione” disse Vincenzo. Tornammo a casa insieme e passammo per il parco. Elly ci disse che doveva andare a prendere una bottiglia d’acqua al chiosco così l’aspettammo. Dopo 10 minuti non la vedemmo tornare; ci preoccupammo e andammo a vedere ma non c’era. Trovammo solo un bigliettino con su scritto: “Se rivolete la vostra amica venite domani al cimitero alle 23:45. BKP”. Subito urlai: “Nooo! Elly!!” E mi misi a piangere. Leo mi consolò. Aveva un piccolo sorriso in faccia e gli chiesi: ” Come mai sorridi in un momento così drammatico?” e lui rispose:c “No è solo che stavo pensando a te con Elly” “In che senso?” chiesi io, anche se avevo intuito cosa intendesse: “Niente, lascia stare…”
LO SCONTRO FINALE
La mattina seguente la notizia si era diffusa in tutto il paese di Campolargo. Mia mamma era ancora più preoccupata e mi disse: “Oh povera ragazzina… chissà come sarà spaventata! Sapevo che non avrei dovuto lasciarvi andare! Non posso permettere che accada anche a te. Adesso non potrai uscire neanche se sorvegliato”. Io e Leo ci sentimmo durante la mattina per escogitare un piano: dovevo riuscire a uscire di nascosto questa notte: “Posso aspettarti sotto casa tua” disse Leo: “magari ti porto una corda con cui calarti dalla finestra se non ce l’hai a casa” “Si mi sembra un’ottima idea”. “Passo a prenderti alle 23:20?” “Va bene” “A dopo” “Ciao, a dopo”. Andai a riposarmi sul letto e aspettai che arrivassero le 23:20.
Era arrivata l’ora. Ero felice di poter rivedere Elly ma anche molto impaurito. Andai molto silenziosamente in salotto per prendere le scarpe. Tornai in camera mia mi misi la giacca e aspettai Leo. Erano le 23:15. Esattamente 5 minuti dopo arrivò. Mi lanciò la corda, ma sfortunatamente la mancai e arrivò in testa a Leo. Me la lanciò una seconda volta e questa volta la presi. Legai l’estremità alla maniglia della finestra e la bloccai nel fermapersiane per evitare che sbattesse. Leo invece la legò alla base di un albero. Mi calai giù ma caddi. Per fortuna ero quasi arrivato a terra e quindi non mi feci molto male. Ci incamminammo verso il cimitero. Non ci parlammo molto: eravamo troppo tesi. L’unica frase che uscì dalla mia bocca fu: “Secondo te Elly sta bene?”. Leo fece una smorfia come per dire “Non lo so, speriamo” e gli tornò quello strano sorrisetto in faccia. Arrivammo un po’ in anticipo, così aspettammo dietro un grande albero. Eravamo sempre più in ansia e nella mia testa giravano mille pensieri. Finalmente vedemmo arrivare in lontananza una figura scura, così ci avvicinammo di più e potemmo vedere in faccia quella losca figura. Era lo stesso uomo dell’altra volta. Però di Elly nessuna traccia: “Dov’è Elly? Devi ridarcela!” E lui calmo, sicuro di sé rispose: “Mi sembra ovvio che la vostra amica non è qui. O almeno per ora. Infatti ho una proposta da farvi e tutto dipende dalla vostra scelta. Potete riavere la vostra cara amica e lasciarmi andare senza dire niente di nessuno alla polizia. E non fate i furbi perché i miei sicari vi terranno d’occhio. Altrimenti direte tutto al commissariato ma non rivedrete mai più la vostra amica. Prego, a voi la scelta.” Io senza esitare esclamai: “Dacci subito Elly! Non diremo niente alla polizia!” “Ma no aspetta! Mi scusi, non lo prenda sul serio” disse Leo: “Prima diciamo di farci vedere Elly, diciamo che la prendiamo e poi ce ne andiamo. Il giorno dopo diremo tutto alla polizia”. “Ma no, non lo hai sentito! Ha detto che i sicari ci guardano”. “Si ma domani avremo la protezione della polizia”. “Beh e se ci vedono andare alla polizia?” “Ci camuffiamo prima di andare così non ci riconosceranno”. “Mmh… non sono sicuro ma si può fare”.
Così appena finimmo Leo disse: “Prima facci vedere Elly e poi ti diremo la nostra scelta” e lui con la sua voce profonda: “No. Questo non è proprio possibile”. “Beh allora non le diremo la nostra scelta”. “Come volete ma sappiate che dovrete salutare per sempre la vostra amica”. “ Non ci fidiamo. Vogliamo vederla”. “Ragazzini” disse con una voce severa “Vi assicuro che sta bene ma dovete dirmi la scelta entro 5 minuti”.
Io e Leo eravamo molto confusi. Non sapevamo che fare, ma l’unica possibilità era quella di dire la scelta. Del resto ci trovavamo davanti a un serial killer: “Ok, allora la nostra scelta è quella di prendere Elly e non dire niente”. A quel punto i sicari che ci avevano rincorso portarono Elly che aveva un graffio sulla faccia ed era a piedi nudi. Appena la liberarono le corsi incontro ad abbracciarla e poi ci raggiunse anche Leo. Appena finimmo di salutarci Leo disse: “Arrivederci” e il killer rispose con un ghigno: “Ma veramente pensavate che vi avrei lasciato andare così? Poveri illusi… Prendeteli!”. Allora ci aveva veramente fregato. Incominciammo a correre nel boschetto. Ed eccoci qui. Ancora a fuggire nel boschetto e ancora dagli stessi sicari, ma questa volta eravamo tutti uniti. Ad un certo punto si sentì un colpo di pistola. Leo si fermò di colpo. Incominciarono a scendere delle gocce di sangue e ancora e ancora finché non “sgorgava” dalla ferita. Aveva il braccio pieno di sangue era tutto rosso e dalla sua espressione sembrava fare molto male. Ma nonostante ciò continuò a correre. Corremmo per parecchio tempo finché non trovammo un posto in cui fermarci. Leo si mise una benda che aveva trovato nel suo zaino che si era portato dietro. I sicari si avvicinarono e così incominciammo a correre di nuovo. Corremmo e corremmo ma ad un tratto ci ritrovammo davanti a un precipizio. Non avevamo via di scampo. Giunsero anche i sicari con il loro boss. Sembrava una scena di un film. Ci stavano guardando e il killer aveva una pistola in mano puntata contro di noi e pronta a sparare. Si sentirono dei passi avvicinarsi. A quel punto mi preoccupai ancora di più pensando che fossero altri sicari. Si intravidero delle persone in divisa blu e pian piano che si avvicinavano riuscimmo a capire chi fossero. Era la polizia! Molto probabilmente aveva sentito lo sparo ed era venuta a soccorrermi:”Butta a terra la pistola! Subito!” disse Vincenzo, che avevamo riconosciuto subito. Così il boss lasciò la pistola a terra e lui e tutti i suoi sicari vennero arrestati. Intanto Vincenzo venne da noi e ci disse: “Vi avevo detto di non impicciarvi in faccende pericolose!” E prima che potessimo aggiungere qualcosa ci chiese: “State bene? Ehi ragazzino, cosa ti sei fatto al braccio? E’ meglio portarti in ospedale a farti medicare”. Così accompagnammo Leo in ospedale e appena uscì tornammo a casa. Durante il tragitto Leo ci chiese: “Ma per caso… voi state insieme?” Io ed Elly ci guardammo imbarazzati e dicemmo contemporaneamente: “Si!” E Leo rispose con il suo sorrisetto: “Lo immaginavo…siete proprio una bella coppia”. Il giorno dopo si diffuse la notizia della cattura del serial killer. Si scoprì che si chiamava Enrico Perez. Capimmo anche per cosa stesse la “P” in “BKP”. Adesso nel paese di Campolargo la gente sarebbe stata più tranquilla e spensierata.
L’uomo dall’abito nero
di Elettra Ottina, Asia Emiliani, Luca Torcelli, Gabriel Cadacio – 2E
<<Mi scusi,mi scusi!>>
<<Si?>>
<<Siamo degli intervistatori e abbiamo sentito la sua storia,potrebbe raccontarci cos’è successo quella mattina precisamente?>>
<<Certo>>.
Ero a fare jogging come ogni mattina, sempre alla stessa ora, sempre nello stesso posto. La vecchia foresta vicino al mio rigagnolo preferito. Mi recavo lì ogni giorno per stare un pò da sola,anche se abitavo in uno dei borghi più belli d’Italia era un posto che mi dava molti ricordi specialmente perchè era il luogo preferito da me e mia madre. La foresta era desolata, non c’era nessun uccellino a cinguettare, nessuno scoiattolo che facesse cadere le foglie, nessun cervo a zampettare tra le foglie, solo il rumore del vento.Stavo correndo quando un rumore mi fece fermare, cercai di trovarne la fonte ma non vedevo niente, era completamente deserto. Mi girai e rigirai per capire chi o cosa lo stava producendo. Era un rumore sordo, leggero e mi attirava particolarmente. Quando mi girai per la quarta volta intravidi una figura nera…mi decisi e mi avvicinai.<<AHHH!!!>>, cercai di non provocare alcun suono o movimento, urlai nella mia testa che quasi la feci esplodere. Ero dietro a un grande arbusto, ero completamente congelata, mi guardai le mani e le vidi di color neve. Mi si fermò il respiro.Guardai indietro e vidi una scena raccapricciante, questa figura era una persona e aveva in mano..cos’era?…una pala, una pala con una tinta rossa. Stava seppellendo qualcosa, guardai meglio e vidi..che era una persona. Aveva il volto sfigurato ma mi pareva di conoscerlo anche se era ricoperto di sangue. Ero presa così tanto dal panico che feci cadere i miei occhiali, si ruppero provocando un rumore abbastanza forte. La figura si fermò,si girò e incominciò a venire verso di me. Non sapevo cosa fare, mi misi a correre, e corsi, corsi, corsi finché non vidi delle case e delle persone. Fermai la prima persona che incontrai e raccontai tutto. Andammo in caserma e raccontammo il fatto. Andai a casa per prendere il mio zaino e andare a scuola anche se dopo quello che era successo non avevo molta voglia ma ci andai solo perchè avevo una verifica. Oggi la scuola sembrava andare a rallentatore, era tutto più lento e lo odiavo perchè volevo solo andare a casa, cercai di passare la giornata senza pensarci troppo. Oggi doveva passare il preside per controllare le aule ma non era venuto.Dopo le lezioni andai a casa. Arrivata chiusi la porta, appoggiai lo zaino in un angolo e mi coricai sul divano.Presi il mio libro preferito “due hotel e un delitto” e incominciai a leggere. A me piaceva un sacco leggere soprattutto i gialli mi appassionavano per l’intrigo ,il mistero, la sorpresa finale. Pensai particolarmente a quello che era successo ma non erano affari miei e non dovevo intromettermi. Mio padre rientrò tardi da lavoro come ogni giorno:
<<Com’è andata oggi?>>, mi chiese <<Come ogni altro giorno>>esclamai <<Cosa vuoi per cena?>>
<<Fai tu>>
<<Come vuoi scricciolo>>
<<Ehi!>>sbuffai, mio padre ridacchiò ,sapeva che odiavo essere chiamata così era un soprannome che era sbucato dal nulla. A cena non gli raccontai niente, se glielo avessi detto sarebbe impazzito. Dopo la scomparsa di mia madre era molto protettivo nei miei confronti, mi aveva messo il coprifuoco quando uscivo e se non tornavo entro quell’ora impazziva. Accendemmo la tv e mettemmo sul telegiornale, ovviamente come prima notizia c’era l’assassinio:
<<O mio dio, tu dov’eri ieri mattina, sei passata di lì?>> chiese mio padre <<No no sono passata per la foresta ma non ho visto niente>>esclamai <<L’importante è che stai bene>>
<<Già>>
Arrivò il mattino dopo e tutti a scuola parlavano dell’accaduto.Un insegnante ci aspettò all’entrata cosa molto strana:
<<Ho da dare una spiacevole notizia, il vostro preside è mancato, ieri lo hanno ritrovato nella foresta come avrete tutti sentito parlare>> disse la vicepreside.
“Allora era lui-pensai-ecco perchè mi sembrava famigliare,ma chi potrebbe essere stato?” Dopo la scuola andai nella foresta dove c’erano tantissime persone, la polizia, gli intervistatori, la polizia scientifica, era un piccolo borgo Side ma per questo caso erano venute molte forze speciali. Arrivata sul luogo del crimine guardai intorno e vidi in lontananza una cosa rosa anzi fucsia. Mi avvicinai e vidi che erano degli occhiali da sole rosa, allora mi venne un flashback, erano gli occhiali che portava quella figura, probabilmente gli saranno caduti, li girai un pò tra le mani finché non notai qualcosa. C’era scritto un nome:”Kate Rossi”. Era una mia compagna di classe, quegli occhiali erano i suoi preferiti, e a pensarci meglio non era venuta neanche a scuola oggi. Volevo tirarmi fuori da questa storia non erano affari miei ma la tentazione era così forte che non riuscì a resistere, e allora presi una decisione molto importante; avrei fatto l’ indagine per conto mio. Tornai correndo a casa, svelta come le rapide di un fiume, presi tutti i libri gialli che avevo e rimasi tutto il giorno a studiarli tutti. Il giorno dopo prima di andare a scuola passai per la foresta e vidi che stavano portando via il corpo del preside. Notai diversi tagli ed un pezzo di vetro conficcato dentro di lui, da quello potevo dedurre che era stato ucciso con una bottiglia, un bicchiere, un barattolo o qualunque cosa fatta di vetro. Mi appuntai tutto e andai a scuola. Vidi Kate mogia mogia, di solito era quella più sorridente ma oggi era diversa:<<Hey Kate!>>la salutai.
<<H-hey Alice>>mormorò silenziosamente.
<<In questi giorni non ti ho vista è tutto ok?>>
<<Si solo problemi famigliari..>>
<<Senti ti va se oggi vengo a casa tua e studiamo insieme?>>
<<Certo mi tirerebbe su il morale>>se ne andò con un piccolo sorriso. All’uscita andai con lei avevo già avvisato mio padre quindi non avrei avuto intralci.
<<Metti lo zaino dove vuoi>> <<Vado a lavarmi le mani>>. <<Va bene>>, svoltai l’angolo e andai in bagno ma vidi qualcosa nascosto vicino alla doccia,era piccolo il bagno aveva un lavandino, la doccia, un water, un bidet e una finestra, tirai su quella cosa e rimasi sconcertata, era la stessa camicia, gli stessi pantaloni, tutto uguale a quello che aveva quel giorno la misteriosa figura.Presi una decisione un pò avventata ma decisi che le avrei dovuto parlare. Mi alzai per andare in salotto ma lei era sulla soglia del bagno, era con lo sguardo perso nel vuoto, era immobile.
<<K-Kate stai bene..?>>,le appoggiai una mano sulla spalla.
<<I-io non volevo farlo,mi ha costretta>>balbettò.
<<Chi,chi ti ha costretta?>> <<Eri tu quella nella foresta!>>. Girò lo sguardo verso di me, non dimenticherò mai i suoi occhi che ormai non potevano più trattenersi.
<<Mi dispiace, mi dispiace tantissimo>>si mise a piangere e a me faceva così tenerezza che la abbracciai; <<Chi ti ha costretto?>>
<<I-il figlio del preside Thomas>>
“Come Thomas? Lui adorava suo padre non poteva di certo fare una cosa del genere” pensai.
<<Va bene ora calmati andrà tutto bene, posso sapere un ultima cosa però?>> <<D-dimmi>> <<Potresti raccontarmi il perché dell’atto che ha portato Thomas a fare una cosa del genere?>> prese un respiro e inziò
<<Il preside aveva divorziato pochi anni prima dalla madre di Thomas e questo lo ha distrutto, era molto arrabbiato nei confronti del padre che lo insultava sempre senza nessuna ragione, il preside lo aveva portato dallo psicologo per diverse terapie ma è lì che avvenne il punto più drammatico, a Thomas era stata diagnosticata la schizofrenia.>>
<<E come ha fatto ad ucciderlo?>>
<<Era andato a trovarlo a scuola, in presidenza, Thomas si stava lamentando per l’ennesima volta di qualcosa di insignificante ma era diverso, sai il teschio di metallo che ha sempre il preside sul tavolo?>><<Si?>> <<Ecco lui lo prese e glielo lanciò così forte da ucciderlo, aveva il volto irriconoscibile per via dei tanti pezzi di vetro, ma anche perché Thomas continuò a colpirlo in faccia>>
“Mamma mia eppure lui ha la nostra stessa età”pensai:<<E tu come fai a seperlo?>>
<<Io stavo passando di lì per caso e Thomas mi vide e mi strattonò dentro l’ufficio, io avevo una cotta per Thomas e lui mi disse che se io avessi fatto quello che avrebbe detto lui sarei diventata la sua ragazza>>
<<E tu hai accettato?>>
<<Da una parte avevo paura che potesse farmi qualcosa, dall’altra parte mi piaceva ancora Thomas quindi accettai>>
<<Allora Kate tu sai dov’è Thomas ora?>> <<E’ a casa sua probabilmente>> <<Bene ora andiamo dalla polizia e raccontiamo tutto quello che mi hai detto, mio padre lavora lì>>
<<Va bene grazie avevo molta paura prima ma ora non più>>, Kate mi sorrise e io le sorrisi a mia volta. Arrivate alla caserma mio padre ci accolse e noi raccontammo tutto. Ovviamente all’inzio nessuno ci credeva ma andando a fondo nella storia capirono che due ragazzine di 13 anni non si potevano inventare cose simili. Fecero le indagini e venne fuori che avevamo ragione. Thomas fu mandato in un centro di salute mentale per minorenni. In quanto a me e Kate siamo state ringraziate molto dalla polizia per il nostro contributo.
<<Questa è tutta la storia>>
<<Wow, metteremo sul telegiornale la sua intervista grazie ancora, arrivederci>>
<<Arrivederci>>